di Antonio Gregolin -Testo e foto riservati-
TONI ZARPELLON:“ PITOR DE PIERE E CAVE” (aggiornato 15 agosto 2011)
Dategli una cava e lui vi dipingerà il mondo. Predilige i sassi alle tela, il bosco allo studio. Se poi lo volete vedere all’opera, è bene andare verso le sei del mattino nella sua cava-studio a Rubbio (Vi). Toni Zarpellon è un l’artista che sembra nato da una fiaba moderna.
La fantasia trasforma le cose, ma più ancora le persone. E quando un pennello finisce nelle mani giuste, fa quello che al contrario compie un martello pneumatico dentro una cava. Ecco che se la fantasia irrompe, anche una cava dismessa, sfregio di un passato umano recente, può rigenerarsi in quello che diviene un “miracolo d’arte” moderna. Di più, un vero e proprio processo ontologico che per Toni Zarpellon, poliedrico artista bassanesedi 58 anni, è una rinascita che ha partorito l’originalissima provocazione della sua “Cava Dipinta”. “Ciò che qui per decenni è stato vituperato, scavato e trasformato dall’uomo –spiega l’artista riferendosi all’intimo rapporto che ha con la natura circostante-, per osmosi la cava ora dipinta è una rigenerazione delle forme; e più ancora un tentativo umano di rispondere ad un problema ambientale e civile di grande attualità e necessità!” La misteriosa cava dipinta di Rubbio a qualche decina di chilometri dal centro di Bassano, è l’immagine del regno creativo di questo geniale artista “rupestre”, a tal punto che se si spera di trovare quassù Toni Zarpellon intento a dipingere sassi (dovreste venire alle sei del mattino), la sua robusta sagoma pare essere parteintegrante di quella tavolozza di colori che è oggi la sponda del monte Caina (località Rubbio), dominato da una contrastante corona di antenne che ne sfigurano il dolce profilo. Qui troviamo lo “Zarpellon preistorico”, ossia l’uomo che come gli antichi lascia segni del suo passaggio direttamente sulla nuda roccia: “Un pò rude lo sodo -incalza lui-, ma in compenso non uso più la clava! Qui sono i miei colori a sortire l’effetto misterioso simile alle pitture rupestri francesi”.
Un colpo d’occhio che ti catapulta dal brutto creato, alla bellezza ricreata: “La cava –dice Zarpellon-, ingoia tutto anche il peggio di noi. Scesi lungo il costone verde della montagna a strapiombo sulla pianura antistante, il verde degli alberi incornicia il mosaico di colori sgargianti della “Cava Dipinta”, che ritraggono le forme più disparate. Simboli e archetipi, tutti ritratti su pareti e massi dalle forme antropomorfe.Rocce che l’artista oggi non esita a definire come dei “compagni di viaggio. Sono i miei guardiani”.
UN LUOGO UNICO IN ITALIA
Non è un luogo visionario, ma un grande palcoscenico naturale, dove l’uomo-artista è tornato a dipingere i suoi petroglifi come migliaia di anni fa. Una forma di scrittura per immagini la sua, che alla modernità dei segni, fonde l’arcaicità di una comunicazione che per l’artista si trasforma in terapia rigenerativa. Un artista moderno che risponde ad un richiamo ancestrale: “Uno sfogo colorato che manifesta il mio disagio verso quel brutto che avanza” aggiunge Zarpellon.
Uno “scontro di civiltà” dove, da un lato si trova la civiltà di cui Zarpellon si sente parte, rappresentata da un paesaggio integrato e integro. Dall’altra la “cava dipinta con il suo messaggio. Nel mezzo il visitatore che sale fin quassù per vedere un’opera tanto monumentale, da essere unica in Italia e tra le poche nel mondo .
IL “SALTO MORTALE” DELL’ARTISTA
“L’esperienza della cava –rimembra l’artista veneto- è stata per me un “salto mortale”. Non un salto nel vuoto, ma dentro le viscere della terra. Un passaggio oltre che fisico, mentale. Dal mio studio ristretto allo spazio aperto. Chiamiamola pure una“resurrezione” considerando che mi ha permesso di ritornare alle origini del tutto, anche dell’arte stessa!” La sua però non è speculazione intellettuale: sulle rocce dipinte di Rubbio, vi è la storia della nostra civiltà. Dal televisore riprodotto su una liscia parete pietrificata, alla frenesia del divenire che mostra una mano intenta a catturare un undici, che segna l’anno che verrà.
Così un teschio ricavato da un masso posto all’entrata della cava è qui un “memento mortis” per dire che siamo nella realtà. Nulla qui è a caso, neppure le tracce lasciate sulla nuda roccia dagli scavatori di allora. Ai rumori di quel lavoro di escavazione, oggi si è sostituito il silenzio. Silenzio animato dalle fragorose creature fantastiche che popolano questo antro di montagna:“Un luogo difficile da trovare, non per un fatto geografico, ma mentale…”replica l’artista. “E’ come se ognuno tornasse nel grembo di quella madre da cui tutto è scaturito”.
VERSO PER L’ESSENZIALE…
“Abbandonai nel 1990 l’idea della tela bianca come spazio, nonché di studio e galleria. Una separazione sofferta la sua, indotta da una personale inquietudine, come mi racconta l’artista, che si intravedeva fin dalle sue prime crocifissioni con le macchine: “Da quelle linee larvali del ’65 che sono state l’ispirazione di tante mie opere postume.” Un periodo buio insomma, che si è concluso con questo sua “folgorante intuizione” che la cava gli ha dato. Oggi il maestro sorride, e ricorda quei “motti dell’animo” come un percorso obbligatorio che gli ha permesso di prendere coscienza per meglio comprendere ciò che siamo ostiamo per diventare noi oggi: “Quando giunsi quassù – racconta-, la sonorità e bellezza del paesaggio che mi offriva questo senso di totale avvolgimento dato dalla cava, mi fatto capire che avevo finalmente trovato ciò che andavo cercando. Ciò che ha determinato la volontà di realizzare le grandi teste antropomorfe e il bestiario che emerge dalle pietre, era alimentato dalla fantasia che avevo fin da bambino, quando mi divertivo a leggere nelle macchie dei muri di casa immagini che mi riconducevano alla realtà.” Per questo, ciò che si vede nell’opera di Zarpellon è solo la parte finale di un lungo processo dal sapore o sacrale. La cava di Rubbio oggi è uno spazio riflessivo. Migliaia sono i visitatori (40mila), giunti fin quassù per ammirare la ciclopica opera. E’ facile incontrare gente seduta, immobile, sui profili di qualche mostro: “Qui in un certo modo ci si dimentica del mondo da cui si proviene –spiega l’artista-, per immergersi dentro quelle paure che qui assumono le forme più disparate, quanto concilianti. Sì, perché quei mostri dipinti con occhi sgranati, altro non sono che la materializzazione di ciò che ci portiamo dentro. Paure quotidiane contro cui combattiamo e rifiutiamo di riconoscere”.
Ecco perché la provocazione di Zarpellon diventa psicologia creativa:”Il buttar fuori le nostre paure, cioè materializzarle simbolicamente, serve a vincere le fobie stesse.” Racconti di fantasia e poesia, come quel pane (un masso ocra lasciato su una tavola pietrificata con tanto di tovaglia bianca dipinta), che altro non è se non un tozzo di pane lasciato per nutrire simbolicamente gli abitanti della cava che di notte si animano per vagabondare indisturbati tra i boschi dell’Altopiano.“C’è poi il coccodrillo mangia erba; il gigante stanco; il pesce che canta…” nomi e storie che chiunque può inventarsi guardando queste rocce. “La mia cava non è un quadro statico, basta spostare un sasso o cambiare un colore aggiungendo un occhio, per far sì che l’opera sia perennemente incompiuta.”
DALLA STRADA ALLE PARETI DI ROCCIA
L’ultimo percorso cognitivo di Zarpellon ci riporta sulla strada. Nel frenetico caos cittadino. Forse è anche per questo che l’artista costringe il visitatore ad abbandonare l’auto prima di raggiungere il luogo della sua ultima creazione: la “Cava abitata”, datata 1991. Ancora una cava, stavolta però con massi sgretolati e il grigiore di un ambiente popolato da metalliche figure disposte in una spettrale scenografia. Protagonisti della scena, ancora una noi, guardati dalle tante marmitte arrugginite con tanto di occhi, nasi e bocche. L’impatto è degno di un fondale da tragedia greca.“Si, qualcuno mi aveva proposto di utilizzare questa cava come teatro naturale…” ma per l’artista il fine va ben oltre. “A venti anni dalla sua creazione, la cava abitata continua a parlare…se si vuole ascoltare!”. Prima però bisogna voltarsi ancora una volta verso il confine dell’orizzonte. E’ lì, in quella civiltà che Zarpellon trova il suo “tragico simbolismo stradale”: “Quei morti per strada ormai sono una guerra permanente. Ho ancora in mente la scena di una madre che piangeva davanti a questa mia cava ricordando il figlio morto in un incidente stradale. Quel pianto mi ha impressionato…”.
Difficile allora non provare un brivido dinnanzi a quelle marmitte personificate, recuperate dalla discarica: “Sono andato dagli sfascia carrozze in cerca di materia per il mio lavoro. Lì ho trovato macchine di ogni sorta, il più delle volte ridotte ad ammassi di lamiere con ancora evidenti i segni dello schianto. La mia paura inconscia era di trovarmi pezzi di cadavere lasciato tra quei rottami. Pensavo a quanto l’uomo deve dare al raggiungimento di questa nostra innaturale modernità. Quanto sangue chieda la strada?”. Per l’artista che ha sguardo fisso verso l’orizzonte, una soluzione c’è. E’ quella di fare in modo che la gente torni a riappropriarsi della coscienza verso il mondo che li circonda”. E mentre dice questo, Zarpellon volta lo sguardo altrove. Lì sotto c’è una terza e una quarta cava abbandonata. Altra sorpresa ed altra esperienza, che l’artista vicentino sta ora ultimando. Il suo e nostro percorso continua, e forse non si esaurirà mai, perché questa è la lingua parlata dalla fantasia!
15.08. 2011 IL FERRAGOSTO DEL PITTORE
“Il paesaggio quotato in borsa” è l’opera che il maestro tributa a questo ferragosto di crisi.
In tempi bui, anche l’arte interpreta la crisi. Ferragosto nella casa-studio del pittore Toni Zarpellon, il creatore delle Cave di Rubbio che dominano Bassano, meta in questi giorni di turisti alternativi, è un giorno fra lettura, colore e vecchi amici. Sulle colline di Marsan di Marostica, il rustico di Zarpellon è la tana del pittore, da cui si può scorgere quel frenetico mondo che spesso ispira i suoi quadri. E’ da qui che il pittore guarda il mondo: quel suo vicentino che quest’anno “è in ferie con la crisi”. Per questo è un fiume in piena di idee e provocazioni colorate: “E’ là –indica il pittore-, che c’è la gente intorpidita, frastornata, rassegnata a quella che io considero una specie di anestesia generale, totale…”.
La crisi umana prima ancora che economica, Zarpellon l’aveva già incarnata negli anni ’80, quando nella sua cava dipinta e animata, aveva già tracciato la possibile fine di un’epoca. “Non dite però che porto iella – tiene a precisare-, solo chi è diventato cieco e sordo non ha visto il groviglio mentale di Pil, Bot, Cct, che ci ha fatto precipitare nel turbine di questi giorni…”. A sentirlo parlare vedendolo circondato dai suo ritratti con gli occhi granati appesi alle pareti, si ha l’impressione che Zarpellon avesse davvero “visto oltre”: “Non sono un sibillino, resto un pittore che pensa e parla coi colori”. Eccolo che “stanco delle tante, parole spese in queste ore sotto il sole”, abbandona il tavolo della conversazione: “Vado nel mio confessionale…” aggiunge lui. Due stanze più in là c’è il suo studio, con una scala di legno dove si è costretti a fare piccoli passi “perché così erano le scale di una volta, quando si andava piano. Non come facciamo noi oggi…”.
Si fa silenzio attorno alla tela che è posiziona sul vecchio tavolo incrostato di pigmenti. La tela è ancora bianca, ma ha già un titolo: “Paesaggio quotato in borsa”. Scruta oltre la finestra per cercare le linee, verso quell’orizzonte verso i lidi marittimi, dove ci si immagina quei bagnanti che Zarpellon dice di “non invidiare affatto”. La crisi entra così nella morfologia di questo paesaggio d’agosto. L’istogramma borsistico che ci fa tremare in queste settimane, diventa qui il grafico del nostro territorio. Due ore di lavoro, con il caldo che trapassa attraverso le vecchie travi non fa desistere il maestro: “La pittura è passione, rapimento di sensi che difficilmente ti molla, anche a Ferragosto …” ammonisce Zarpellon. Il quadro è ormai pronto e il titolo “Paesaggio quotato in borsa”, è un’antologia pittorica al clima di canicola “borsistica” che il pittore interpreta con un lume di chiaroveggenza e pragmatica saggezza.
COME ARRIVARE ALLA CAVA DIPINTA
La “Cava dipinta” si trova in frazione di Rubbio (20 chilometri da Bassano) a circa 1000 metri di quota. Poco prima di entrare nell’abitato si prende la strada che conduce al Monte Caina. Al bivio della Vallerana, contraddistinto da un bosco di antenne, vi è una strada sterrata che conduce all’ex cava Molagli che il pittore Zarpellon ha dipinto con il permesso dei proprietari. L’ingresso è libero per tutte le stagioni e l’opera è stata realizzata senza alcun contributo o sponsor, con il solo sforzo economico dell’artista. Per trovare Toni Zarpellon all’opera, è consigliato trovarsi verso le sei del mattino.
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