di Antonio Gregolin -testo e foto riservati-
L’ESSENZA DI UNO SGUARDO
Il senso del viaggio. Storia di un fortuito (ma non casuale) incontro sul Bernina , il treno rosso più alto d’Europa, tra boschi e ghiacciai.
Puoi anche girare per il mondo intero, conoscendo tutto il possibile immaginabile, e vivendo ogni sorta d’esperienza, senza però mai trovare il senso compiuto del nostro andare. Fino a quando un giorno, il tuo sguardo all’improvviso può svelarti la sua essenza. Un fotogramma che diventa verità, con la saggezza del tempo che irrompe nel destino di chi è per strada rischia di perdersi per poi ritrovarsi…
La “strada” è sempre ciò che conta più di tutto in un viaggio. Resta il fine che ti permette di dire d’aver vissuto. E’ il percorso che riempie i nostri ricordi. Nel breve racconto, c’è un viaggio compiuto su un treno speciale come il “Bernina” che sferraglia fino ai duemila metri tra l’Italia e la Svizzera, diventando la più alta ferrovia d’Europa. Con me altri viaggiatori e passeggeri. Gente comune che sale e scende dalle storiche fermate d’alta quota, dove anche i capistazione sembrano venire dal passato. A far da corona le montagne e i ghiacciai lo spirito selvatico delle altezze. Qui si arriva trasportati e senza fatica, sfiorando abeti e rocce, fino a che lo sguardo può incrociarsi con quello fiero di stambecchi e aquile. Sù, in alto…
Le lingue di ghiaccio che scendono dalle vette sembrano lì lì per fagocitarti, come draghi pietrificati. Se finisci tra le loro fauci, senti che qui potresti avere la più grande tomba del mondo. Viaggiando, i più piccoli vengono rapiti dal dolce sonno portato dall’aria frizzantina che passa tra gli spifferi dei finestrini. All’improvviso un’immagine nitida, non cercata, che ti racconta e si racconta. Da questa “folgorazione” fatta di sguardi e poche parole, sufficienti però per riempire una biblioteca, è nato questo minimale racconto del viaggio dentro un viaggio. Di senso nel senso del nostro continuo andare. Le immagini di quei momenti, rispondono alla straordinarietà di un’incontro, irripetibile!
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Abbandoni la macchina per prendere un treno che avanza come un giocattolo di latta rosso, , attraverso le valli. Il piccolo treno è di fiammante come un drago che da un secolo è il vanto di due comunità di confine. Benché svizzero, il “Bernina” aveva un ritardo di otto minuti, difficili da giustificare per la puntualità degli svizzeri locali. Otto minuti che le eterne montagne avvolgono qui nel silenzio dei boschi, mentre il trenino sfiora prima i faggi, poi gli abeti e larici, fino a spingersi tra i pini mughi che odorano di resina primaverile, all’ombra delle cime di ghiaccio. Dai finestrini il paesaggio si sfoglia come un libro, mentre il trenino arranca, con il coraggio di un Davide di ferro che sfida i giganti di pietra.
Siamo nella stagione che tinge di colori caldi il mondo. Gli occhi degli adulti diventano come quelli di bambini. Per molti è un soliloquio, per le anime pure invece, diventa un dialogo con lo spirito della montagna. Chi non intuisce questo, aspetta solo l’arrivo alla prossima fermata, preannunciata col rallentare del trenino. Eccolo rallenta la sua corsa con la dolcezza di un meccanismo che è uguale da decenni. La stazioncina è un francobollo naif coi merletti in legno decorati sui bordi del tetto, con il ferro al posto del legno per durare più a lungo nel tempo. Chi comanda qua è un capostazione di mezza età, che pare essere venuto da una tela di Van Gogh. Baffoni grigi e giacca sgargiante come l’ardore del suo fischio di partenza. Fu qui, a 1900 metri d’altitudine che improvvisamente, con fare sornione di gatta da appartamento ma col carattere fiero di un rapace, che vidi entrare una donna, solitaria e vecchia, con gli anni portati tutti dentro il suo lo zaino. Si accomoda, posando il suo bondone su un sedile. Solitaria è entrata e altrettanto sola sembra voler restare. Lentamente si sfila il berretto che oscurava i già neri suoi occhiali.I capelli sono bianchi come come la neve . Il trenino intanto, lentamente andava. Andava. Andava.
Pochi istanti e la vidi dirigersi verso il finestrino come se avesse ricevuto una chiamata. Guarda e riguarda, rubando con lo sguardo ciò che gli passava dinnanzi. Movimenti lenti, solenni, ma spontanei come si hanno quando ti trovi dinnanzi a qualcosa di grande. C’era qualcosa in Lei che m’incuriosiva. La ammiravo sul come stesse osservando il mondo, mentre intorno s’era creato quel vuoto che sospende ogni genere di distrazione. Una concentrazione che si ha quando trovi figure tanto particolari.Viaggiava e questo sembrava bastarle.
I vecchi, dal canto loro non sembrano più tanto attenti alla realtà. Lei invece ne era assorbita totalmente. La vidi sedersi un istante e poi tornare al finestrino. Non voleva perdere nulla di quel suo momento. Fece un passo più lungo solo per spostarsi dall’altra parte della carrozza. Più la osservavo, più restavo colpito da quel suo innocente piacere che gli toglieva l’età.
Ad un tratto, abbozzo un sorriso mite e pieno di gusto. Sorrideva forse alla montagna e sembrava esserne corrisposta. La sua solitudine sembrava così ampiamente ripagata. Ad un certo punto la vidi osare, mettendo il suo viso a favore di vento. Sorrideva proprio come fanno le vecchie amiche mentre rimembrano l’età dell’innocenza.
All’improvviso i nostri sguardi s’incrociarono. La mia curiosità si fece notare da lei, e ne provai quasi vergogna! D’istinto ritrassi la macchina fotografica. Lei allora mi sussurrò poche parole in tedesco: “Guardi che paesaggio. Lo guardi…” si raccomandò.La signora scese di lì a poco, mentre il mio percorso continuava.Prima però con poche gesta mi fece intuire che avrebbe proseguito a piedi giù per un sentiero.
Pensai che dovesse completare il suo dialogo con la montagna. Quel suo volto al vento era già per me un’icona. Forse i miei occhi mi hanno tradito. Quando la salutai mostrando il mio stupore davanti a quel suo comportamento, lei non si mostrò affatto turbata.
Il treno ripartì dopo poco, e pochi metri più in là, vidi la mano della vecchia signora agitarsi tra i pini mughi. Il nostro destino di viaggiatori si separava così: in quel solito gesto di addio che si tramanda nel tempo. La magistrale lezione dell’anziana era terminata, da farmi perdere l’interesse per la mia meta. Potevo anche viaggiare all’infinito, tanta fu quella leggerezza dell’essere che mi aveva sfiorato, che mi aveva offerto con poco l’essenza del viaggio.
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