Di Antonio Gregolin -©riproduzione vietata testo e foto Copyright 2011
IL CUSTODE “FILOSOFO” DEGLI ANTICHI CASTAGNI
Alla scoperta di un angolo d’Italia selvaggia e semi-sconosciuta, dove vi è una foresta di castagni secolari dimenticati dalla legge, custoditi da un singolare personaggio chiamato “Carrello” che qui ha le sue radici. Un’idea alternativa (ed educativa) alla solita vacanza.
Può sembrare scontato cogliere le caratteristiche di un personaggio, grazie alle foto e domande che si possono fare con un’intervista. Diverso è dover raccontare una foresta, cercando di ascoltare i suoi grandi alberi, che da secoli stanno nel silenzio delle loro valli. Creature di quattro, cinque o sei secoli di vita, che si ergono indisturbati in un anfratto selvaggio dell’Appennino tra Abruzzo e Lazio, poco lontano dal borgo di Corvaro, in provincia di Rieti.
Uno scampolo di terra aspra, dove la vita ha ancora il profumo autentico della natura, e gli unici uomini, cacciatori o raccoglitori, sono solo di passaggio. Protagonisti sono castagni millenari che troneggiano in quella che appare come un’Itaca selvaggia, dove l’antico paesaggio resiste alla modernità. Ma non siamo in un parco o riserva, qui l’unica tutela è messa in pratica dalla natura stessa, coi suoi ritmi. Un bosco che non viene segnalato neppure dalle cartine geografiche o turistiche. Una dimenticanza umana che, forse, ha permesso il mantenimento di questo piccolo miracolo naturale.
I colossi arborei sembrano nascondersi alla vista, mascherati da quei massicci che svettano sull’azzurro del cielo estivo. Bisogna cercarli, perdendosi per poi ritrovarsi come spesso accade nella fatalità della bellezza. A meno che, non si abbia la fortuna d’incontrare una figura dai tratti gentili coi capelli lunghi e bianchi. E’ Ludovico Leonardi, per tutti “Carrello”, un pimpante sessantenne, a metà tra il filosofo, il cacciatore e l’artigiano.
“Uno dell’antica tribù degli Equi” come si definisce lui con ironia, che frequenta questi boschi fin da bambino: quando andava a falciare a mano i prati con suo nonno. Questi boschi sono cresciuti dentro di lui, tanto che quando è chiamato a descriverli, ad un certo punto si ferma per dire: “Ok! Saltate sulla mia jeep, così capirete di cosa sto parlando…”.
“Carrello” a modo suo è un elemento di questa terra, con le sue amabili contraddizioni: ama la natura, ma è un cacciatore. Assapora il silenzio, ma conosce tutto sui motori. Vorrebbe poi che dei suoi monti non si toccasse nulla, ma si esalta coi piatti a base di porcino e cinghiale. Eppure, si fa presto ad intuire che è lui il “custode” di questo patrimonio verde. Anche il suo paese, Corvaro, ha una doppia anima: con la parte tutt’ora spopolata dal 1915, a seguito del devastante terremoto che colpì e distrusse la vicina Avezzano. Da allora il borgo vecchio è uno scheletro, mentre la nuova vita si è spostata nei nuovi fabbricati costruiti più in basso.
La città dell’Aquila è al di là del Monte Duchessa che domina su Corvaro: “Quel che nel 2009 ci ha protetti dalla distruzione dell’ultimo terremoto”, come ricordano gli abitanti del borgo. Da quella data ad oggi in questa terra di terremoti, sono state registrate ben 869 scosse sismiche, ma nessuno qui pare preoccuparsene troppo. Alle spalle i monti del Cicolano e quelli del Morrone. Lasciato il paese, con la jeep ci inerpichiamo lungo una stradina fino a scollinare su una valle, dove neppure Silone avrebbe collocato la sua Fontamara. Il verde dei boschi è intenso e sa di profumo incontaminato. Si è su un altro pianeta, pensando a quell’Italia sempre meno selvaggia, ma più cementificata.
Deviamo per una sterrata battuta solo dalle greggi e dai muli che scendono ancor oggi dai boschi carichi di legna sulla groppa, come cent’anni fa…”. Il nostro è un continuo entrare e uscire dal bosco, in un dedalo di cui Carrello conosce ogni sbocco. Saliamo ancora, trattenendo il respiro per lo sforzo del fuoristrada: “Eccoli, i miei castagni…” esclamò l’uomo puntando il dito verso le possenti sagome che si fanno largo tra le foglie. Pilastri verdi che sembrano sorreggere il cielo.
Di alberi secolari ne ho visti molti, ma mai tanti e tutti così riuniti. Carrello aveva ragione: bisogna vederli per capire! Quassù il turismo non è mai arrivato e forse mai arriverà. Così sono pochi coloro che possono bearsi di tanta meraviglia. Chi si spinge nel vecchio bosco, è solo per raccogliere qualche porcino. I pastori vi passano per la transumanza, mentre Carrello viene per la caccia, ma soprattutto per vedere come stanno i suoi castagni. Qui la fantasia spazia dalla foresta di Sherwood, alla dantesca Selva Oscura, fino alle antiche foreste californiane di sequoie. La suggestione si stempra coi ricordi di chi parla di questi castagni come parte vitale della loro vita: “Questi giganti -ricorda Carrello- sono sempre stati qui. Me lo diceva mio nonno che a sua volta glielo aveva ripetuto suo bisnonno. Intere generazioni si sono sfamate con le loro castagne. Come nei tempi della fame, quando venivamo quassù per dissotterrare le scorte di castagne che avevamo raccolto la stagione precedente, interrandole in buche ricoperte di foglie”.
Il senso di stupore è quasi infantile nel sentire il legame di quest’uomo con questi castagni. Basta così trovarsi tra le nodose radici per sperimentare antiche emozioni. Gli alberi più vecchi mostrano squarci lungo il tronco dal quale entrandovi dentro, puoi gettare lo sguardo fino all’apice della chioma. Alcuni sono anneriti dal fumo, antico anche questo, dei fuochi accesi al loro interno dai pastori che un tempo cercavano riparo. Come in un museo ci si sposta da una scultura all’altra, ma in uno spazio aperto. Ognuno con la sua forma, forza e slancio: “I più vecchi sfiorano i cinque, sei secoli di storia”. Stanno nel fitto del bosco, lungo il sentiero e fin sulle scarpate.
Il castagno è così: è coraggioso! E’ un temerario. Si piega, ma non si spezza, e quando cade è solo perché ha davvero concluso il suo ciclo vitale. Ma poi ricacciare polloni basali e si rigenera. “Vedete quel sfregio lungo il tronco? E’ la ferita lasciata da un fulmine di qualche giorno fa, che ha reciso un grosso ramo prima di scaricarsi a terra…”. I fulmini non perdonano e queste piante lo sanno bene: “Quando arriva il temporale, quassù, si scatena una guerra primordiale di forze tra cielo e terra da cui è bene starsene lontani”, ammonisce Carrello.
Il nostro viaggio ora continua in discesa, verso valle, con gli occhi ormai allenati a questa natura ingigantita. Ci fermiamo quando troviamo qualche tronco riverso a terra, il più delle volte abbattuto per fare legna da ardere da quei proprietari che si sentono più padroni che custodi. “La loro è stupidità!” sbotta Carrello mostrandomi ciò che resta di un grande castagno ridotto in pezzi.
“Ignorare la storia incarnata da questi alberi, significa soprattutto scordarsi ciò che la natura ci ha lasciato” ripete Carrello. “Questi castagni, appartengono a tutti, e benché abbiano dei padroni, questi non dovrebbero scordarsi che il loro tempo è ben poca cosa se confrontato con quello che nutre creature verdi”.
L’ ALBUM FOTOGRAFICO
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