di Antonio Gregolin -copyright 2012 diritti riservati-
Il veronese David Larible è considerato il “clown dei clown”. Vera e propria star mondiale del circo.
Altro che “il re è nudo” per citare la storia. Questo è un re dal naso rosso e con una straripante carica d’ironia. David Larible è considerato il clown più famoso del mondo, erede di star del calibro di Chaplin o Crock. L’artista veronese è oggi il clown che ha vinto più premi alla carriera, tra tutti i clown della storia. La sua è una lezione di filosofia sul come s’insegna e quanto si può imparare da un sorriso. “In fondo, fare il clown è una cosa seria. Troppo seria per non riderci su!”.
E’ la mia prima intervista ad un clown, per di più di fama mondiale come lei. Come le piacerebbe iniziare? “Con domande intelligenti e risposte -spero- altrettanto intelligenti ”.
Così mi carica di troppe aspettative!? “Suvvia, sono solo un clown…”.
Non sia così modesto, sa bene di essere il “reuccio” dal naso rosso… “Un che? Un reuccio! Sappiamo che fine hanno fatto i re…”.
Intendevo, un maestro di circo! “Neppure maestro accetto, anche se confesso che data la mia età, 53 anni, ho molte persone che mi definiscono così. Mi creda, non insegno niente a nessuno! Quando svolgo i workshop in giro per il mondo dico sempre che voglio condividere la mia esperienza con quanti non chiamo neppure “allievi”, ma clown ancora senza esperienza”.
L’ho appena vista sorridere! Partiamo col piede giusto, visto che lei lavora in questo campo. “Non mi piacciono le definizioni assolute. Il clown è un arte, non una competizione. La definizione di “Clown dei clown” mi venne data dal New York Times qualche anno fa, e non sono più riuscito togliermela di dosso. Tanto per esorcizzarla, mi sono preso la libertà di chiamare nello stesso modo un mio spettacolo. Ho copiato una definizione giornalistica per dare un nome ad una mia creatura, dove interpreto un uomo delle pulizie che ha poco a che vedere coi titoli roboanti dei giornali”.
Però un po’ lusingato lo è? Il pericolo è quello di cominciare a crederci, quando sono in molti a dirtelo. La trappola è di pensare di essere il migliore. Così finisci di crescere e di migliorarti, e per uno che fa questo mestiere sa di doversi migliorare in continuazione”.
E’ cresciuto a Bussolengo, nel Veronese. Ha però un Dna francese “Larible”, con una consolidata tradizione famigliare circense che dura da ben sette generazioni. Dico bene? “Sì! Non a caso il nuovo spettacolo che sto provando in questi mesi in Germania, si chiamerà “Destino di clown”.
Con una famiglia così non ha avuto scampo? “Si e no! E’ stato mio padre a farmi scegliere cosa volessi fare dopo la terza media a Verona, con scarse prospettive scolastiche: “Oh la scuola o la pista?” mi disse. Non esitai un attimo. E ora eccomi qua!”.
Un cattivo rapporto con la scuola o una grande passione per i clown? “So di essere stato un bambino vivace. O meglio, allegro! Ho sempre fatto divertire i mie compagni e insegnanti. Quando in classe superavo i limiti -spesso-, venivo messo alla porta dai professori con il sorriso sulle labbra. Però non sono mai stato bocciato! Forse anche perché a tre settimane dalla fine della scuola, mi rinchiudevo a studiare e imparavo in pochi giorni quello che non avevo fatto in un intero anno”.
Non è un buon esempio? “Lo ammetto! Ma quando nasci così, non puoi farci nulla. Ai miei figli ripeto la frase dei miei insegnanti che poi ha segnato la carriera: “Larible, esca dalla classe…”, e me lo dicevano ridendo.
Mi piacerebbe però sapere cosa direbbero oggi di me quei professori…”.
C’è poco da dire: oggi lei è il clown più famoso del mondo! Come ha fatto a diventarlo? “Diversamente da ciò che si pensa, clown si diventa alla fine di un lungo lavoro. Non è pensabile che uno a sedici anni possa già essere pronto per una pista. Ho iniziato come trapezista, poi giocoliere e solo nel 1980 decisi di diventare un clown. Le parlo di una delle regole fondamentali del circo!
Oggi è famoso quanto Chaplin, Stanlio e Olio. Niente male… “Arrivarci a quelle altezze là! Parliamo di figure ineguagliabili. Devo mangiarne ancora molta di minestra per essere paragonato a loro. L’esposizione mediatica oggi è molto diversa dai loro tempi: da una parte facilita perché la tecnologia è globalizzata. Dall’altra aumenta la concorrenza, anch’essa globale. Ai suoi tempi, il grande Chaplin era praticamente unico in tutto al mondo, e sugli schermi non uscivano più di trenta film comici l’anno. Numeri così oggi si sfiorano in un giorno appena. Si fa spettacolo in ogni dove e tanti fanno di tutto pur di apparire”.
Clown dunque, si nasce o si diventa? Si nasce! Non è l’uomo che sceglie il clown, ma viceversa”.
Nel 1999 al Festival del Circo di Montecarlo ottiene l’oro, diventando il terzo clown nella storia a raggiungere questa onorificenza, dopo Charlie Rivel nel 1974 e Oleg Popov nel 1981. Mica poco! “Sta toccando un tasto dolente. Nonostante i premi sono fermamente convinto che questi non determino nulla. Conosco persone circensi che sono artisti immensi, che però non hanno mai ricevuto un riconoscimento. Altri che magari hanno vinto il clown d’oro, e sono invece decisamente modesti”.
Ha vinto tutto quello che si poteva vincere. Cosa le manca? “Vorrei vincere l’Open di Golf (ride), solo che credo ci sia già chi c’ha pensato!”.
Qual ‘è il giudizio che si da? Sono una persona che ha la fortuna di fare un lavoro di cui è follemente innamorato, cui Dio ha dato talento e occasioni che hanno determinato un certo successo. Successo che non durerà in eterno, sia chiaro! Ecco perché serve umiltà e desiderio di non sentirsi mai arrivati, neppure quando si ricevono i premi più prestigiosi. L’ unica vera riconoscenza, te la offre sempre e solo il pubblico cui devi rispetto totale e sacrale. E’sempre il pubblico la vera “star”, senza di questo non ci sarebbe spettacolo!
Ha due figli: com’è essere un papà col naso rosso? “Sono un padre normale e deluderò i molti che pensando che un clown sia un papa speciale. C’è però una grande allegria in famiglia. Ho certi valori e spero di trasmetterli. Mia figlia Shirley è trapezista ed è inserita nel mio prossimo spettacolo. Il più piccolo, David Pierre, ha 13 anni e vuole intraprendere la scuola di giocoleria”.
Gli racconta mai la sua storia? “Quasi mai, perché vogliono che vivano il padre per quello che è , e non per ciò che è stato”.
Lei com’è stato? “Sono nato sotto un tendone e non un cavolo! (sorride). Mia madre mi ha dato alla luce a Novara, perché il circo si trovava lì. Poi ci siamo trasferiti poco dopo a Bussolengo, prossimi al lago di Garda, dove ho ancora la mia casa e dove faccio spesso ritorno tra una tournée e l’altra nel mondo, e le mie radici restano tuttora lì!”.
Quando ha visto per la prima volta dei clown? “Appena ho avuto la capacità di fissare i ricordi. Ricordo che andavo a vedermi tutti i giorni il numero di clown del mio circo”. Essendo poi un veronese “è un po’ matto”… “Lo dico e me lo ripeto spesso. Noi veronesi siamo estrosi e simpatici”.
Qual è l’occasione professionale che le ha cambiato la vita? “La svolta, non è stata unica, ma l’insieme di tanti episodi. Le direi però la partecipazione al Festival Circo Montecarlo e successivamente ad un programma alla televisione tedesca. Ma non è detto che io sia arrivato; sono ancor uno in carriera.”.
Carriera appunto: ha dinnanzi un giovane che vuole intraprendere questo genere di carriera, cosa le consiglierebbe? “Gli direi di essere onesto con sé stesso. Capire ciò che vuole veramente e poi di esibirsi. Le prove sono importanti per la tecnica, ma poi le gag bisogna sperimentarle davanti al pubblico. E qui che capisci molte cose di te e dei tuoi limiti. Non si fa il clown per fare soldi! Ma si fanno i soldi facendo il clown. Il difficile non è diventarlo, ma restarlo. Ecco perché ammiro sempre le lunghe carriere. Le faccio l’esempio di cantanti come Baglioni o i Pooh, altro che cantanti che vincono Sanremo e poi scompaiono nel nulla. Infine, gli ripeterei di prendere questo mestiere con sufficienza, ma pensare che non è affatto facile. Il clown deve curare lo spirito…”.
Cioè offrire felicità? “Fare il clown è uno stato d’animo. Lungi da me dal pensare di creare felicità. Posso creare uno stato di piacevole connivenza con le emozioni. Una sorta di giocoliere delle emozioni. Quando riesci a sentire che il pubblico sta bene con te, allora senti di compiere un rito collettivo. La risata è collegata al non essere soli. Esempio: è possibile stare in una stanza buia e piangere, mentre è quasi impossibile stare soli e ridere. Quindi, penso che amiamo ridere perché questo ci fa sentire meno soli”.
Questa è filosofia… “Come si dice:“La felicità è un modo di vedere”. Cerco la mia felicità col vivere bene, e ognuno di noi può fare la differenza attorno a sé, se solo la sa comunicare. E un clown comunica, eccome!”.
Anche se è triste come i clown di Fellini!? “Un clown è sempre tragicomico!”
Come vive la morte uno abituato alla risata? “Come la fine di uno spettacolo, senza applausi”.
Quando un clown finisce di fare l’artista e ridiventa uomo? “Alla fine di ogni spettacolo. Detesto le persone che si ostinano ad essere divertenti 24 ore al giorno. Bisogna tenersi le energie per i momenti migliori. “C’è un tempo per ogni cosa” come sta scritto nella Bibbia. Uomo e clown sono la stessa cosa, visti solo da prospettive diverse. Il clown non interpreta: il clown è! Io in scena interpreto comunque una parte di me. Gli attori invece interpretano svariati personaggi, ma mai loro stessi. Ecco perché dico che Chaplin o lo stesso Benigni sono fondamentalmente dei clown prima ancora che degli attori ”.
Ha citato la Bibbia, in essa c’è un passo che parla del “sorriso di Dio”. Cosa le fa provare questo? “Dio è in ognuno di noi. E’ in noi! Ecco perché ogni volta che fai sorridere una persona fai sorridere Dio stesso”.
Il sorriso fa bene all’anima come al corpo., e qui penso ai clown delle corsie ospedaliere. Lei ha mai provato questa esperienza? “Lo faccio spesso, ma senza reclamizzarlo. E’ un’esperienza molto difficile ma necessaria che mi rendo conto di fare più per me che per i pazienti. In questi casi, hai le condizioni peggiori per compiere questo mio mestiere E’ un bagno di umiltà e ammiro molto le persone che lo fanno. Ma non vorrei che diventasse un rifugio per clown falliti. Chi ha voglia di farlo è perché lo sente, ci crede e si preparare per questa delicata missione”.
Qual è il codice “morale” di un pagliaccio? “Buongusto e buonsenso in ogni suo gesto”.
Le offrono un naso rosso o 10.000 euro. Cosa sceglie? “Assolutamente il naso rosso, perché con questo posso fare più soldi di quanti lei mi sta offrendo”.
Oggi però il mondo dei clown sembra svilito dalla tecnologia. Avranno un futuro? “Solo poco tempo fa riguardavo un’intervista a Grock, il clown più famoso di tutti i tempi, in cui nel 1959 un giornalista gli poneva la medesima questione. Cinquanta anni dopo, il circo è ancora qua, e credo che ci resterà per molto ancora, anche se non senza difficoltà.”.
E il futuro circense italiano? “In Italia si sono compiuti sbagli enormi nel passato di cui si pagano ora le conseguenze. Parlo delle storiche famiglie circensi. Siamo sempre noi gli artefici del nostro successo o insuccesso. SE poi mi chiedesse come vedo l’Itali, gli direi che la situazione politica è stata cosa seria solo durante la creazione della Costituzione poi… Mi ha sempre fatto impressione una delle poche frasi intelligenti che disse Mussolini quando gli chiesero se fosse difficile governare gli italiani? Lui risposte: “Soprattutto è inutile!”.
Lei artisticamente è cresciuto sotto la tenda. Oggi è sempre più spesso dentro un teatro: qual è la differenza? “Quando inizia a frequentare i teatri in molti erano scettici. A me piacciono le sfide per poter fare ricredere le persone che non hanno creduto nei sogni ho. Il pubblico del circo è più dispersivo e gioioso. La parola stessa di “circo” significa circondato di spettatori. Nel teatro invece, tu hai la terza parete che restringe lo spazio”.
Quando penso al circo, il mio pensiero corre al Cirque du Soleil. Mai avuto la possibilità di lavorare con loro? “Me l’hanno offerto parecchie volte, ma pur ammirandone gli spettacoli per ora non ne sento il desiderio”.
Dove vive un clown come lei? “Dipende! Se sono in teatro, in un hotel o appartamento. Se sono al circo in un carrozzone. Oppure se sono a Verona, a casa mia. Le giornate poi non sono mai uguali: può capitare di avere due o tre spettacolo al giorno è capisce che non mi resta molto altro tempo. Così sono tutto casa- circo- teatro”.
Mai pensato di appendere “il naso” al chiodo? “No! Mollerò solo quando mi accorgerò che il pubblico non si diverte più con me”.
Un clown è una creatura senza tempo. La spaventa il passare degli anni? “No, accetto bene l’età e ci rido sopra”.
Come si immagina a 80 anni? “Se Dio mi darà la forza, spero di vivere sereno e semmai, creare uno studio-bottega per clown, magari proprio nel mio Veneto. Cosa questa che sogno da molto tempo, ma credo sia difficile perché tutti mi dicono: “Non ghe ze i schei”. Diventerebbe così la prima scuola per clown d’Italia!”.
So che le piace il motto: “Il cuore ha ragioni che la ragione non capisce”. Quanto cuore e ragione ha usato in queste sue risposte? “L’80% di cuore e il 20% di ragione“.
Le ho chiesto di aprire questa intervista, ora le offro la possibilità di chiuderla, anche perché so che l’aspettano al circo? “Ho avuto la consapevolezza di avere detto cose che sentivo, e non cose che pensavo dovessi dire. Ciao, e mi saluti l’Italia…”
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