IL GIALLO DELLA ROTONDA

 di Antonio Gregolin testo e foto coperte da Copyright 2014 riproduzione vietata 

IL “GIALLO” DEL PALLADIO

 C’è un “giallo storico” che in questi mesi assedia la più celebre villa del mondo:  la Rotonda di Vicenza, simbolo dell’architettura palladiana dal 1600 ad oggi.  03_20_bso_f1_492_1_resize597_334E’ il biondeggiare dell’antico grano monococco (Tritticum monococcum), autentico retaggio dell’agricoltura preistorica, tornato nei campi che circondano la monumentale villa del Palladio. Un fatto che potrebbe non balzare subito agli occhi di chi viene per ammirarne geometrie e armonie architettoniche. Un giallo, decisamente meno appariscente deicampi di colza gialla dell’anno scorso che aprì una gara fotografica pervicentini e turisti. Se il grano monococco non compete quindi  in bellezza estetica, ha il pregio di essere “storico” e naturale visto che non richiedere nitrati chimici per la sua coltivazione, offrendo qualità organolettiche tutte da riscoprire. Parliamo del cereale di cui l’uomo si èimages (3) nutrito per migliaia di anni. Una granaglia “addomesticata” nella mezzaluna fertile tra la Turchia e l’Egitto seimila anni fa, e soppiantato poi dalla selezione genetica di sementi ad alta produttività che hanno portato alle farine di oggi. “Il ritorno del monococco ai piè della Rotonda è comunque un fatto storico e un valore aggiunto all’immagine del luogo” precisa Niccolò Valmarana, erede della storica dinastia che qui abita da secoli, e oggi gestisce il fondo agricolo in conversione biologica.

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Niccolò Valmarana

“Una volontà e nello stesso tempo una necessità – precisa Valmarana-, per dare una risposta alle tante problematiche del mondo agricolo tradizionale, sempre più in sofferenza e difficoltà!”. Parliamo quindi dello stesso frumento che vedeva di cui si nutriva il Palladio? Lo chiediamo a Federico Pagliarin, 60 anni, agricoltore del Basso Vicentino, che una decina di ettari di coltivazione di monococco è uno strenuo sostenitore del ritorno della coltura di questo cereale che ha rischiato l’estinzione, e grazie a lui sta tornando a maturare nuovamente nei campi vicentini: “Era proprio questo grano antico assieme al farro che veniva coltivato ai piè della Rotonda – afferma lui-, di cui si sarà certamente nutrito anche il Palladio, nonostante lui frequentasse le cucine dell’alta borghesia veneta”. Così il paesaggio che è fusione di geometrie naturali e architettoniche, ieri come oggi, con il verde degli alberi e il giallo del grano su cui domina la villa, sta riprendendo le sembianze originali della villa di campagna di allora: “Vorrei che i quindici ettari con tredici di coltivazioni

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Federico Pagliarin

tradizionali della villa, tornassero alla coltura di un tempo –spiega Valmarana-, con i grani antichi e una agricoltura sostenibile e biologica che entrerà a regime già dal prossimo anno”, quando l’intera proprietà agricola porterà il suo nome. “Per quest’anno abbiamo seminato sei ettari di monococco e altri sei di orzo, ma dall’anno venturo l’azienda completerà la sua riconversione al “io” con l’introduzioni di semi e insetti. Non ultime le arnie di api, oggi visibili alla base della villa, come doveva essere un tempo quando la villa era una “industria” agricola-alimentare, oltre che la dimora dei miei avi”. Idee chiare con un pizzico di sensibilità che chiede di coniugarsi con le esigenze economiche di gestione, quella del Valmarana: “I vecchi grani pur offrendo minori rendite, riequilibrano le perdite con la totale assenza di interventi chimici e quindi un risparmio sulla coltivazione”. “Ciò significa maggior qualità e minor impatto sull’ambiente. images (2)Il tutto come valore aggiunto al contenitore villa che, dovutamente presentato, spero possa essere apprezzato dal turista come dai vicentini stessi”. Una Rotonda “più naturale” che tenta di ripristinare un dialogo  quasi impossibile con la storia e il territorio di questi ultimi decenni, frutto di scellerate scelte urbanistiche che farebbero inorridire lo stesso Andrea della Gondola (alias Palladio). “Binomio questo –aggiunge schietto Valmarana- che si mostra oggi come un trauma degli ultimi anni. Basti guardare al vicino Tribunale nuovo, autentico un pugno nello stomaco,considerato da Legambiente come uno dei dieci esempi in Italia di bruttezza e pericolo idrogeologico, che non ha nulla di armonico e non rende onore a quella Vicenza, capitale mondiale dell’architettura. Qual’era!”.images (1) “Più che una rivoluzione –aggiunge Pagliarin, che ha fornito il seminativo certificato- è una evoluzione agricola e ciò che sta avvenendo nell’azienda La Rotonda è sicuramente uno stimolo, come pure una vetrina importante per produttori e consumatori”. Un ritorno al passato che Pagliarin difende coi denti e tanta convinzione: “Ai dieci produttori del Basso Vicentino che Pagliarin ha “convertito” in Confraternita del Monococco e una prossima cooperativa per la commercializzazione del prodotto, lui spiega da buon missionario dell’agricoltura sostenibile: “Se nel piatto arriva la qualità con minori costi da parte del produttore, significa un risparmio per tutti. E intendo tutti, partendo proprio dalla ritrovata volontàdegli agricoltori che nel passato possono trovare speranze per il loro futuro”. Per i due ormai la strada è segnata, basta quindi “seminare la storia”. Una storia che ritorna alle sue origini, dove villa e paesaggio erano fonte della stessa meraviglia.

“E’ IL GRANO DEI SOLDATI ROMANI”

“Nutriva le legioni romane, i nostri nonni e credo che tornerà a nutrire noialtri stessi”. Ne è convinto Federico Pagliarin, agricoltore del Basso Vicentino che da un decennio ha riconvertito la sua azienda a coltura di grano monococco. “Parliamo di un grano preistorico – spiega lui con la spiga in mano- che ha un solo seme “vestito” con una colorazione più scura del grano commerciale di oggi, ma un valore nutrizionale straordinario, con antiossidanti e poco glutine”.  Parla quindi dei tanti pro e dei pochi contro che si hanno nel coltivare questo frumento: “Era il cibo degli antichi – aggiunge l’agricoltore-, che ha conosciuto anche nel nostro territorio una vasta diffusione fino alla fine della schiavitù all’epoca dei romani, impiegata per nella pulitura del chicco, per poi essere gradualmente soppiantato dalla genetica dei grani dicocco che sono quelli delle farine attuali”. Per il contadino di Lovertino la storia antica nella sua azienda è di casa, visto che è stata recentemente scoperta una villa romana nei suoi campi: “Credo che gli abitanti allora, mangiassero lo stesso frumento che io coltivo oggi, convintoche la sua minor capacità di produzione, possa essere ripagata dall’inesistente impiego di fosfati nei campi. Quindi consistenti risparmi per gli agricoltori. Se poi aggiungiamo i cambiamenti climatici in corso, viene spontaneo pensare che il monococco sia il futuro di molte aziende”. Ma Pagliarin oltre che promuovere il grano, è un pioniere dei gusti, tanto da farsi promotore di alcune idee rivoluzionare, come quella di fornire porzioni monouso per l’esercito americano. Più concreto è invece l’impiego nei forni artigianali dell’Alto Vicentino: “Fornisco sementi che trasformate in farine, servono per prodotti di panificazioni e dolciari, come il “Parpagnacco”,l’antico biscotto dei dogi. Per il monococco quindi si tratterebbe di una rinascenza alimentare, agricola e culturale.

 

 

 

 


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