Antonio Gregolin e Anna De Cillis -©2011 riproduzione vietata del testo-
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IL DOPO ELUANA
La vicenda di Eluana Englaro, raccontata tre anni dopo dal papà Beppino: “Sono serviti 6233 giorni, nove sentenze e un decreto per poter liberare mia figlia. La coscienza sta camminando e gli esempi non mancano!”. Vicenda divenuta ora un film, “La bella addormentata” presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia .
C’è una data nella storia della nostra giovane democrazia: 9 febbraio 2009. Il giorno in cui sul fare della sera, moriva in una clinica di Udine dopo 17 anni di stato vegetativo e l’interruzione di ogni intervento terapeutico, Eluana Englaro, assistita dal papà Beppino. La vicenda di questo padre e di sua figlia, ha fatto da spartiacque in un dibattito bioietico ancora aperto e dall’incerto destino. Un padre che oggi come ieri, porta avanti il principio del dopo Eluana. A colpire è lo sguardo di papa Englaro: limpido e sincero. La sua è una voce ferma che rimarca la ferrea convinzione: “Dovevo dar voce a mia figlia, onorando un patto di fiducia che ci univa da tempo” dice lui giustificando l’inevitabile domanda che non gli stavo per fare. Dal 1999, anno in cui Eluana è stata vittima di un incidente stradale, lui ha condotto una battaglia legale tesa a sospendere l’alimentazione artificiale di sua figlia in coma irreversibile. Il 9 febbraio 2009 la macchina che la teneva in vita fu spenta, infiammando e dividendo l’intero nostro Paese. “Ci sono voluti 6233 giorni, nove sentenze e un decreto perché potessi liberarla e dirle addio”. Beppino Englaro racconta la sua esperienza, divenuta oggi un film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, con un ampio consenso di critica.
Signor Englaro, negli ultimi diciassette anni della sua vita lei si è immerso dentro la burocrazia, abbandonando il suo mestiere, studiando codici, leggi e regolamenti etici. Come ha vissuto questa esperienza?
“Sono stato per parecchio tempo un randagio che abbaiava alla luna, perché non incontravo persone con cui dialogare. Ho parlato con medici, sono andato dal Procuratore della Repubblica, nel mondo accademico per risolvere questo problema sia dal punto di vista clinico che giuridico. Ho atteso una risposta per 15 anni e 9 mesi. Ho dovuto aspettare così tanto per avere questo stato di diritto. Pulitzer, giornalista e fondatore del celebre premio disse un giorno: “Un’opinione pubblica ben informata è una Corte Suprema”. Quindi chi legifera adesso deve fare i conti con un’opinione pubblica più informata che sta capendo e affrontando queste tematiche. C’è un prima e ci sarà un dopo Eluana”.
Nel suo libro parla “di mani che trattano il corpo di Eluana come se fosse una bambola. Parla così di accanimento terapeutico nei confronti di sua figlia. Perché?
“Eluana ha avuto le migliori cure, ma lei avrebbe detto un semplice “No, grazie!” all’offerta terapeutica. Per lei la libertà era un diritto fondamentale. La vicenda di mia figlia c’insegna che non devono essere gli altri a disporre delle nostre vite. Non c’è modo migliore di tutelare la propria vita se non dando le decisioni a chi la vive. Io ho sempre parlato di violenza terapeutica perché quando un paziente viene curato contro la sua volontà è una forma di maltrattamento. Lei veniva violentata da questa medicina invasiva attraverso mani a lei sconosciute. Per noi la vera tragedia non è stata quella di perdere una figlia perché questa è una tragedia privata e umana, che nessuno può evitare, ma quello che non abbiamo voluto accettare fin dall’inizio è la tragedia nella tragedia. Nessuno ha il potere di decidere della propria vita”.
Più volte ha parlato di un patto di fiducia che legava Eluana a voi genitori. In cosa consisteva questo “patto” ?
“Sì, c’era un patto tra di noi. Nessuno doveva usare il proprio corpo come un oggetto. Un anno prima dal suo incidente avvenuto nel gennaio del 1992, Eluana era andata a trovare un amico in quello stesso reparto di terapia rianimativa dove lei si sarebbe ritrovata poco dopo . Alcuni suoi amici erano precipitati in situazioni di disabilità che lei non concepiva. Spesso in famiglia facevamo delle discussioni e approfondivamo concetti su che cos’è vita, la morte, la libertà e la dignità. Lei sosteneva che la morte fa parte della vita, che la vita è libertà di vivere e non condanna a vivere. Dai nostri dialoghi in famiglia avevamo percepito i pericoli di questa medicina e di questa tecnologia. Sono processi invasivi che entrano nella scena del morire interrompendo il naturale processo di morte. Non sapevo che la medicina fosse al servizio della “non morte”. Ricordo che una volta, a dieci anni, ci aveva detto: ‘Cosa c’entrate voi con la mia vita?’. Bisognava conoscere questa creatura per capirla. Il nostro rapporto era basato sulla fiducia e sul rispetto reciproco. Ci siamo misurati con un nostro metro. Eravamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità dando voce a nostra figlia”.
Per alcuni lei è diventato un “assassino”, “l’angelo della morte” di sua figlia. Ma lei continua a denunciare la violenza di una vita artificiale imposta da uno Stato etico. E’ uno sfogo o lo fa per onorare la “verità” dei fatti?
“Nessuno può sapere queste situazioni se non ci finisce dentro. Ecco perché io partecipo a incontri e scrivo: per informare. Dal punto di vista clinico c’è molta confusione e disinformazione in questi stati vegetativi. Eluana è stata prontamente soccorsa, ricoverata in una struttura adeguata e all’avanguardia, ma i medici non si capacitavano della nostra posizione. Per loro qualsiasi situazione di “non morte” è un successo scientifico. Questi procedimenti rianimativi sono della seconda metà degli anni Cinquanta, l’incidente è avvenuto nel 1992. Nessuno ha il diritto di interrompere il processo del morire. Credo fermamente nella libertà di cura e terapia anche se si è nell’incapacità di intendere e di volere. Nessuno può toccarci questa libertà e diritto fondamentale. Eluana non doveva diventare la vittima sacrificale di questi poteri e doveri”.
Il 9 luglio 2008, la Corte D’Appello civile di Milano l’ha autorizzata, in qualità di tutore , a interrompere il trattamento di idratazione e alimentazione forzata che manteneva in vita Eluana. Come si è comportata la politica nei suoi confronti prima, durante e dopo i fatti?
“Dopo il decreto la politica si è scatenata nella maniera più scomposta, più assurda e incivile che poteva fare, dicendo che non spetta ai magistrati ma al Parlamento legiferare e dire la sua in merito a questa situazione. Sono state fatte perfino pressioni sulla Corte di Appello che doveva ricorrere. Lo dice anche l’articolo 32 della Costituzione Italiana: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Quindi che spetti al Parlamento l’ultima parola per le questioni eticamente sensibili non lo mette in dubbio neanche la Cassazione. Ma bisogna legiferare in una maniera costituzionale e questo i politici spesso lo ignorano”.
Le suore Misericordine di Como che dal 1994 si sono occupate di Eluana, si rifiutarono d’interrompere idratazione e alimentazione. Lei decise così di trasferire sua figlia in un’altra struttura per dare seguito alle sue volontà, aprendo un animato dibattito etico non ancora vivace. Come vive la posizione della Chiesa?
“Molti sacerdoti, anche nella mia Udine, sono rimasti sorpresi di questo atteggiamento delle gerarchie della Chiesa e non si sono riconosciuti in loro. Io dico sempre che la Chiesa ha la sua storia e cultura millenarie che va rispettata. Noi viviamo in uno stato laico che tutela tutte le confessioni. La Chiesa in questo caso ha perso un’occasione, così come l’ha persa la politica. Il Papa ha fatto bene a star fuori da questa vicenda. Non si è mai espresso, se non indirettamente. In questo ha dimostrato la sua intelligenza. Anche papa Giovanni Paolo II ha detto in punto di morte ‘Lasciatemi andare alla casa del Signore”. Anche lui ha avuto la libertà di dire di no!”.
Qualche giorno fa è venuto a mancare quell’illuminato uomo di dialogo che fu il cardinale Martini di Milano. “Nessun accanimento terapeutico su di me…” fece capire prossimo alla fine. Questo rasenta l’eutanasia?
“L’eutanasia qui non c’entra, la sua è stata autodeterminazione. E’ il diritto di ognuno poter dire: “Non impeditemi di morire”. Questa è la mia battaglia di ieri, come quella di oggi”.
Per Eluana è andato fino in fondo. Ora la sua battaglia continuerà?
“Sì! Ora vado fino in fondo per me. Per il cittadino Beppino Englaro, perché non posso escludere la possibilità di trovarmi in una situazione simile. Adesso ho voce e dò voce a me stesso finché potrò. Il primo libro l’ho dedicato alla madre di Eluana, il secondo l’ho dedicato ai magistrati perché attraverso questa sentenza hanno dimostrato di non essere servi di alcun potere, religioso o civile. Posso solo continuare a battermi per una legge che rispetti la persona, che non demanda ad altri, -se non a essa stessa-, il diritto di decidere sul proprio corpo. In famiglia, definivamo Eluana una purosangue. Una purosangue della libertà. E’così che la ricorderò per sempre. Senza eroismi o semplificazioni che rischierebbero di ledere la memoria come la volontà di chi ci ha lasciati o ci sta per lasciare”.