IL DOPO ELUANA ENGLARO

Antonio Gregolin e Anna De Cillis  -©2011 riproduzione vietata del testo-

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 IL DOPO ELUANA

La vicenda  di Eluana Englaro, raccontata tre  anni dopo dal  papà  Beppino: “Sono serviti 6233 giorni, nove sentenze e un decreto per poter liberare mia figlia. La coscienza sta camminando e gli esempi non mancano!”. Vicenda divenuta ora un film, “La bella addormentata” presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia .

C’è una data nella storia della nostra giovane democrazia: 9 febbraio 2009. Il giorno in cui sul fare della sera, moriva in una clinica di Udine dopo 17 anni di stato vegetativo e l’interruzione di ogni intervento terapeutico,  Eluana Englaro, assistita dal papà Beppino. La vicenda di questo padre e di sua figlia, ha fatto da spartiacque in un dibattito bioietico ancora aperto e dall’incerto destino. Un padre che oggi come ieri, porta avanti il principio del dopo Eluana. A colpire è lo sguardo di papa Englaro: limpido e sincero. La sua è una voce ferma che rimarca la ferrea convinzione: “Dovevo dar voce a mia figlia, onorando un patto di fiducia che ci univa da tempo” dice lui giustificando l’inevitabile domanda che non gli stavo per fare.  Dal 1999, anno in cui Eluana è stata vittima di un incidente stradale, lui ha condotto una battaglia legale tesa a sospendere l’alimentazione artificiale di sua figlia in coma irreversibile. Il 9 febbraio 2009 la macchina che la teneva in vita fu spenta, infiammando e dividendo l’intero nostro Paese. “Ci sono voluti 6233 giorni, nove sentenze e un decreto perché potessi liberarla e dirle addio”. Beppino Englaro racconta la sua esperienza, divenuta oggi un film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, con un ampio consenso di critica.

Signor Englaro, negli ultimi diciassette anni della sua vita lei si è immerso dentro la burocrazia, abbandonando il suo mestiere, studiando codici, leggi  e regolamenti etici.  Come ha vissuto questa esperienza?

“Sono stato per parecchio tempo un randagio che abbaiava alla luna, perché non incontravo persone con cui dialogare. Ho parlato con medici, sono andato dal Procuratore della Repubblica, nel mondo accademico per risolvere questo problema sia dal punto di vista clinico che giuridico. Ho atteso una risposta per 15 anni e 9 mesi. Ho dovuto aspettare così tanto per avere questo stato di diritto. Pulitzer, giornalista e fondatore del celebre premio disse un giorno: “Un’opinione pubblica ben informata è una Corte Suprema”. Quindi chi legifera adesso deve fare i conti con un’opinione pubblica più informata che sta capendo e affrontando queste tematiche. C’è un prima e ci sarà un dopo Eluana”.

Nel suo libro parla “di mani che trattano il corpo di Eluana come se fosse una bambola. Parla così di accanimento terapeutico nei confronti di sua figlia. Perché?

“Eluana ha avuto le migliori cure, ma lei avrebbe detto un semplice “No, grazie!” all’offerta terapeutica. Per lei la libertà era un diritto fondamentale. La vicenda di mia figlia c’insegna che non devono essere gli altri a disporre delle nostre vite. Non c’è modo migliore di tutelare la propria vita se non dando le decisioni a chi la vive. Io ho sempre parlato di violenza terapeutica perché quando un paziente viene curato contro la sua volontà è una forma di maltrattamento. Lei veniva violentata da questa medicina invasiva attraverso mani a lei sconosciute. Per noi la vera tragedia non è stata quella di perdere una figlia perché questa è una tragedia privata e umana, che nessuno può evitare, ma quello che non abbiamo voluto accettare fin dall’inizio è la tragedia nella tragedia. Nessuno ha il potere di decidere della propria vita”.

Più volte ha parlato di un patto di fiducia che legava Eluana a voi genitori. In cosa consisteva questo “patto” ?

“Sì, c’era un patto tra di noi. Nessuno doveva usare il proprio corpo come un oggetto. Un anno prima dal suo incidente avvenuto nel gennaio del 1992, Eluana era andata a trovare un amico in quello stesso reparto di terapia rianimativa dove lei si sarebbe ritrovata poco dopo . Alcuni suoi amici erano precipitati in situazioni di disabilità che lei non concepiva. Spesso in famiglia facevamo delle discussioni e approfondivamo concetti su che cos’è vita, la morte, la libertà e la dignità. Lei sosteneva che la morte fa parte della vita, che la vita è libertà di vivere e non condanna a vivere. Dai nostri dialoghi in famiglia avevamo percepito i pericoli di questa medicina e di questa tecnologia. Sono processi invasivi che entrano nella scena del morire interrompendo il naturale processo di morte. Non sapevo che la medicina fosse al servizio della “non morte”. Ricordo che una volta, a dieci anni, ci aveva detto: ‘Cosa c’entrate voi con la mia vita?’. Bisognava conoscere questa creatura per capirla. Il nostro rapporto era basato sulla fiducia e sul rispetto reciproco. Ci siamo misurati con un nostro metro. Eravamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità dando voce a nostra figlia”.

Per alcuni lei è diventato un “assassino”, “l’angelo della morte” di sua figlia. Ma lei continua a denunciare la violenza di una vita artificiale imposta da uno Stato etico. E’ uno sfogo o lo fa per onorare la “verità” dei fatti?

“Nessuno può sapere queste situazioni se non ci finisce dentro. Ecco perché io partecipo a incontri e scrivo: per informare. Dal punto di vista clinico c’è molta confusione e disinformazione in questi stati vegetativi. Eluana è stata prontamente soccorsa, ricoverata in una struttura adeguata e all’avanguardia, ma i medici non si capacitavano della nostra posizione. Per loro qualsiasi situazione di “non morte” è un successo scientifico. Questi procedimenti rianimativi sono della seconda metà degli anni Cinquanta, l’incidente è avvenuto nel 1992. Nessuno ha il diritto di interrompere il processo del morire. Credo fermamente nella libertà di cura e terapia anche se si è nell’incapacità di intendere e di volere. Nessuno può toccarci questa libertà e diritto fondamentale. Eluana non doveva diventare la vittima sacrificale di questi poteri e doveri”.

Il 9 luglio 2008, la  Corte D’Appello civile di Milano l’ha autorizzata, in qualità di tutore , a interrompere il trattamento di idratazione e alimentazione forzata che manteneva in vita Eluana. Come si è comportata la politica nei suoi confronti prima, durante e dopo i fatti?

“Dopo il decreto la politica si è scatenata nella maniera più scomposta, più assurda e incivile che poteva fare, dicendo che non spetta ai magistrati ma al Parlamento legiferare e dire la sua in merito a questa situazione. Sono state fatte perfino pressioni sulla Corte di Appello che doveva ricorrere. Lo dice anche l’articolo 32 della Costituzione Italiana: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Quindi che spetti al Parlamento l’ultima parola per le questioni eticamente sensibili non lo mette in dubbio neanche la Cassazione. Ma bisogna legiferare in una maniera costituzionale e questo i politici spesso lo ignorano”.

Le suore Misericordine di Como che dal 1994 si sono occupate di Eluana, si rifiutarono d’interrompere idratazione e alimentazione. Lei decise così di trasferire sua figlia in un’altra struttura per dare seguito alle sue volontà, aprendo un animato dibattito etico non ancora vivace. Come vive la posizione della Chiesa?

“Molti sacerdoti, anche nella mia Udine, sono rimasti sorpresi di questo atteggiamento delle gerarchie della Chiesa e non si sono riconosciuti in loro. Io dico sempre che la Chiesa ha la sua storia e cultura millenarie che  va rispettata. Noi viviamo in uno stato laico che tutela tutte le confessioni. La Chiesa in questo caso ha perso un’occasione, così come l’ha persa la politica. Il Papa ha fatto bene a star fuori da questa vicenda. Non si è mai espresso, se non indirettamente. In questo ha dimostrato la sua intelligenza. Anche papa Giovanni Paolo II ha detto in punto di morte ‘Lasciatemi andare alla casa del Signore”. Anche lui ha avuto la libertà di dire di no!”.

Qualche giorno fa è venuto a mancare quell’illuminato uomo di dialogo che fu il cardinale Martini di Milano. “Nessun accanimento terapeutico su di me…” fece capire prossimo alla fine. Questo rasenta l’eutanasia? 

L’eutanasia qui non c’entra, la sua è stata autodeterminazione. E’ il diritto di ognuno poter dire: “Non impeditemi di morire”. Questa è la mia battaglia  di ieri, come quella di oggi”.

 

Per Eluana è andato fino in fondo. Ora la sua battaglia continuerà? 

“Sì! Ora vado fino in fondo per me. Per il cittadino Beppino Englaro, perché  non posso escludere la possibilità di trovarmi in una situazione simile. Adesso ho voce e dò voce a me stesso finché  potrò. Il primo libro l’ho dedicato alla madre di Eluana, il secondo l’ho dedicato ai magistrati perché attraverso questa sentenza hanno dimostrato di non essere servi di alcun potere, religioso o civile. Posso solo continuare a battermi per una legge che rispetti la persona, che non demanda ad altri, -se non a essa stessa-, il diritto di decidere sul proprio corpo. In famiglia, definivamo Eluana una purosangue. Una purosangue della libertà. E’così che la ricorderò per sempre. Senza eroismi o semplificazioni che rischierebbero di ledere la memoria come la volontà di chi ci ha lasciati o ci sta per lasciare”.

“DOM” LA BATTERIA PIU’ FAMOSA DEL MONDO

Di Antonio Gregolin  -testi e foto riservate copyright 2012-

                  A RITMO DI “DOM” 

“Così v’insegno …”, intervista alla star mondiale della batteria Domenico Famularo, ospite del Drum’s Day nazionale

“Dom” diminutivo di Domenico, è già un suono ritmico. Quasi una nota musicale. Un solluchero per uno che di professione fa il batterista. Nel nome di “Dom” Famularo, nato nel 1956 a Long Island nello Stato di New York da genitori di origine calabrese, si concentra la storia della batteria moderna. Un maestro che insegna ai maestri. Uno che passa dai grandi concerti in tutto il mondo, alle aule delle scuole di musica  del mondo. Un uomo fatto di musica che visita oltre 40 paesi ogni anno per diffondere il suo “verbo musicale” , erede e sintesi della “trinità ritmica” della metà del ‘900 che ha modificato, amplificato e strutturato il suono moderno: Glastone, Sanford e Moeller. 

L’albero genealogico della musica ad un certo punto sembra ricongiungersi e i tre rami, confluiscono in quella leggenda vivente che è oggi Famularo, incontrato in occasione del “Drum’s day 2012” lo scorso 17 giugno, svoltosi prima a Roma e poi sul confine tra Veggiano e Montegalda, promosso da Emmanuele Girardi, rappresentante di una delle storiche case produttrici più diffuse nel mondo. Un incontro lezione per specialisti e professionisti: oltre novanta batteristi da tutta l’alta Italia accorsi per ascoltare il maestro della batteria d’oltre oceano. Tra questi, anche  Gianni Dall’Aglio, lo storico batterista di Celentano che ha improvvisato e duettato con “Dom”, mostrando oltre le parole cosa significhi essere autentici maestri di musica.

Mr. Dom, anche la chiassosa risata fa parte del suo ritmo? “La risata è musica. Non tutti possono suonare la batteria, ma tutti possono ridere. Ridere fornisce il terreno comune da cui partire per ispirare e motivare le persone a suonare la batteria. Quando sono in Italia è sicuramente questo sole a mettermi di buon umore, e in è particolarmente visibile anche quando sto sul palco…”.

Significa che si diverte? “E’ la chiave principale del successo di una persona. Fare ciò che ti piace, significa farlo bene e con poco sforzo. Quando suono o insegno, mi diverto e imparo…”.

Impara cosa? “Rubo di continuo con gli occhi e le orecchie. Lo faccio ogni giorno e dovunque. Questo mi da l’opportunità di non annoiarmi mai. Imparo dai bravi musicisti, come dagli allievi. Ognuno mi lascia qualcosa di suo che io lascio poi agli altri. E’ la catena umana…”.

Ok, ma lei resta il maestro! “Ognuno di noi è la somma del proprio passato. Guardi me, se non fossi stato nel posto giusto (New York anni 1960) con le persone giuste, forse non sarei quello che oggi sono. Iniziai Ho ad andare a lezione di batteria a dieci anni, A dodici  suonavo già come professionista, e molto di questo merito lo devo ai miei maestri”.

Fortuna, ma soprattutto capacità, non crede? “Mettiamoci anche un pizzico di fortuna per rendere la formula perfetta. Io sono stato molto fortunato, allora NY era la capitale mondiale del ritmo. A diciassette anni poi il mio desiderio d’impegnarmi in una carriera mi portò ad avvicinarmi ai grandi maestri e mentori, come Ronnie Benedetto.  Con lui ho studiato i rudimenti la lettura e la comprensione dei differenti stili musicali. Ronnie mi ha offerto la tecnica perfetta per suonare la batteria.  Morì nel 1999 e da allora ogni giorno, applico i suoi insegnamenti!”.

Questo dimostra il valore di avere un maestro. Cosa che oggi gli allievi faticano a trovare! La musica è un’arte che s’impara. E’ tecnica e cuore messi assieme. Ma è anche storia di chi ci ha preceduto. Io non sarei così se il mio primo maestro, Al Miller che mi raccolse a 10 anni a NY, non m’avesse trasmesso la sua arte. Il vero maestro sa di dare, ma è l’allievo a sapere di dover prendere. E’ lui che ruba con gli occhi e le orecchie. Il maestro è  la bacchetta che imprime il ritmo al tamburo. Un musicista è per natura il frutto di un buon maestro, ecco perché nella mia vita sto dedicando tanto tempo al metodo educativo della trasmissione generazionale”.

Per questo è chiamato in tutto il mondo? Arrivo dal Canada, ora sono in Italia, domani in Bielorussia, poi sarò in Polonia, Israele per poi finire in Australia. Visito oltre 40 paesi in un anno. Ecco perché quando arrivano le vacanze, scelgo di starmene a casa mia.”.

E’ stato tra i primi musicisti occidentali ad essere invitato ufficialmente in Cina!  “Insegnare in inglese davanti a cinquemila studenti che parlavano solo il cinese è stata una emozione, anche se ero ostaggio del mio interprete. Sono stato il primo maestro di batteria al mondo ad essere invitato ufficialmente negli anni ’90 dalle autorità cinesi”.

Perché non ha un gruppo tutto suo? “L’ho avuto, anzi più d’uno e per oltre vent’anni, fino a quando ad un certo punto della mia carriera, dopo aver frequentato gruppi internazionali, star che mi volevano nei loro concerti, sentii di voler condividere il mio talento con chi aspirava a diventare un musicista. A loro volevo trasmettere i valori musicali e filosofici, come il valore del divertimento quando si suona una batteria”.

Parlavamo di ritmo, mi diceva che c’è una pulsazione del mondo!? Parlare, camminare, pensare lo stesso modo in cui noi amiamo è frutto di un ritmo continuo. Tutto pulsa e questo ha una sequenza di suono che finisce con l’influenzare il nostro stesso modo di pensare. Quando vado in un paese, cerco prima di tutto di capirne il ritmo. Il ritmo è la “chiave” dell’esistenza e comprensione”.

Qual è allora la nazione più ritmica“Decisamente il Brasile. Lì, il ritmo si respira: quasi si mangia…”.

E l’Italia? “Avete la fortuna di avere ancora un forte senso sociale, anche se i ritmi sembrano un po’ sonnacchiosi. Quasi rilassati.  Ma il ritmo della vostra cucina è delizia per le orecchie come per il corpo. E questo lo colgo mentre ascolto ed insegno agli allievi italiani. Ragazzi promettenti che hanno un valore aggiunto, quello dell’essere italiani, rispetto a molti loro coetanei nel mondo. Valore che spesso non sanno neppure di avere”.

Come sta il mondo della musica oggi? “Dipende. Esistono maestri eccellenti. Studenti brillanti e manager della musica che sfruttano entrambi. Alle volte uno completa l’altro. Altre, si castrano a vicenda”.

Qual è stata la sua migliore stagione musicale? “Beh, New York è storicamente la capitale della batteria mondiale. Qui si sono ritrovati i tre grandi mostri sacri (Gladstone, Stone e Moeller), musicisti ma anche scienziati del movimento per come hanno concettualizzato la batteria. Negli anni ’70 avevi la possibilità di uscire e passando di locale in locale poterti ascoltare in una sola serata anche tre-quattro concerti dei migliori batteristi del mondo. Quel periodo fu un crogiuolo di energia esplosiva che ancora illumina il mondo di oggi…”.

Come definirebbe la batteria“Come il matrimonio tra il corpo fisico e la musica eterea. Tamburi e vita sono un tutt’uno!”.

Dia un consiglio ad un giovane batterista“Di dare il massimo di sé, ma con il minimo sforzo. E’ una regola della fisica enunciata dallo stesso Einstein”.

Qualcosa di più pratico? “Esercitarsi muovendo le dita, i polsi, battendo su qualsiasi superficie e in qualsiasi posto, come mi diceva di fare  il mio grande Joe Morello, che ha offerto una risposta pragmatica alla formula di Einstein. Poi gli direi frequentare dei maestri bravi e una buona scuola”.

Perché musicisti si nasce o si diventa? “Assolutamente si diventa. Se poi hai passione, dedizione e costanza, puoi spiccare il volo. Ma il successo sta nella base dell’insegnamento e apprendimento!”.

Lei  ha una sua scuola di musica a NY, ma è docente in molte accademie nel mondo: che rapporto ha con gli allievi? “Pretendo che si divertano con la batteria. Voglio spingerli trovare il loro percorso di auto-espressione. La musica è uno dei mezzi più validi e divertenti per ritrovarsi, ad ogni età. Sono un artista della vita e dell’arte: come vivo la mia vita è come vivo la mia arte. Il divertimento nella mia esistenza è stata la sfida con me stesso, nel diventare  migliore che potevo. Facendo questo, mi diverto ancora! “.

Dopo molti anni d’insegnamento l’entusiasmo sembra non venirle meno? “Il mio obiettivo è quello d’intrattenere e motivare. C’è una grande libertà che viene fornita dalla batteria, e vorrei stimolare ancora le persone a scoprire l’eccitante opportunità di sviluppo personale e la soddisfazione che deriva da tale strumento”.

Così si è ad un passo dalla felicità!?… (Scoppia in una  risata. Allarga le braccia e  si scatena nel suo rito esorcistico: un’improvvisazione musicale con i tamburi che vale molto di più della risposta sofista che mi aspettavo. Impossibile trascriverne l’impressione “live”. Improvvisa solo chi sa. E chi sa, spesso vede in “Dom” Famularo il musicista-professore quasi perfetto, in stile “attimo fuggente”.

 

TERREMOTO EMILIA: L’ALFABETO DELLA TRAGEDIA (2)

testo e foto di  Antonio Gregolin – diritti riservati Copyright 2012-

      ULTIM’ORA      

L’ALFABETO DELLA TRAGEDIA(2) 

EMILIA maggio 2012 – Come fu per il terremoto dell’Abruzzo, la sintesi delle parole e l’eloquenza delle immagini nel reportage dai territori colpiti dal sisma tra Ferrara e Modena

Antisismico. E’ quello che impressiona di più: vedere centinaia di capannoni di cemento (500 quelli censiti ad oggi), aperti come scatolette. Quelli rimasti in piedi tra Finale Emilia, Mirandola e Concordia (un raggio di 40km) sono più un pericolo che una garanzia per i posti di lavoro. La solidità economica, qui si mostra come quel cemento che si è sbriciolato pur pensandolo “armato” anche contro il terremoto. “A” come animali: “Qui anche i nostri animali, da quelli domestici a quelli negli allevamenti, non sono più come quelli che erano prima del terremoto. Vede quei maiali lì, in migliaia sono morti sotto le macerie del capannone -mi mostra un’allevatrice di Cavezzo-, e quelli che sono rimasti vivi  se ne stanno trincerati in quella breccia tra il cemento. Hanno paura di uscire. Siamo costretti  noi a portargli il cibo dentro. Se hanno paura loro, immagini noialtri!”.

Bastioni/Bastardi. E’ terra medievale l’Emilia, dove la piatta del territorio si alza in verticale coi pioppi e i suoi tanti bastioni. Non c’è paesino che non abbia un “torrazzo” suo, solitario se deve  scandire le ore, oppure parte di un vecchio maniero. Simboli per gli uomini. Riferimenti storici che ora aspettano il verdetto di chi deciderà il destino della loro storia, per molti di questi senza più futuro. “B” come bastardi, ovvero quegli sciacalli che si presentano puntuali nei luoghi del dramma, usando una fantasia diabolica che ferisce più ancora del disastro naturale. Il terrore  della gente qui, dopo il terremoto sono proprio questi “uomini-bastardi”. 

 Casolari/capannoni

Distese di frumento e capannoni. Uno non sposa l’altro, ma convivono. Il verde col grigio. La ricchezza tecnologica, con quella della campagna. Il terremoto ha colpito tutto e tutti: dalla campagna alla industria. L’antico e il moderno. Le vecchie case di mattoni dei contadini come le villette in cemento degli imprenditori. Ma se il vecchio si sfalda, a fatica si spiega la caduta del nuovo. E’ successo all’Aquila, si è ripetuto in Emilia. E’ l’Italia costruita con sabbia, cemento e stupidità.


Donne emiliane. Sono come un marchio di qualità per  questo territorio. Loro lo sanno e non lo nascondono. Chi parla del terremoto sono soprattutto queste donne che fanno la voce forte più degli uomini, ma si lasciano anche rigare il volto dalle lacrime. Forti, integerrime, ostinate: “Siamo scosse, ma da qui non ce ne andremo” ripetono le emiliane davanti alle loro case lesionate.

Esperienza. E’ quella delle centinaia di volontari di tutta Italia che dopo l’Aquila, sono tornati in soccorso dei terremotati. “Questo però è un terremoto multietnico come non avevamo mai visto prima” sottolineano i volontari che gestiscono le 25 tendopoli dell’area colpita. “Mai vista così tanta gente diversa, per abitudini, religioni e tradizioni, convivere forzatamente sotto una tenda”. Le tensioni non mancano e non mancheranno: il terremoto qui ha rimestato le coscienze come le diverse culture etniche.

 Fatalità/Formaggio   Fatalità è la parola che si frappone tra la rabbia e le lacrime. La vita e la morte. La distruzione e la tragedia. “Fatalità vuole che ci siamo salvati!” ti risponde chi oggi per paura vive in macchina o sotto una tenda . “F” come formaggio. E’ stato il terremoto del “formaggio-immagine”, con magazzini di stoccaggio del Parmigiano  squassati, divenuti nella sfortuna, una delle icone di questa tragedia che ha sprigionato una gara d’acquisto solidale (non senza ombre)  delle forme danneggiate. Gara che  in molti casi ha sfiorato “l’affanno” dei consumatori, alimentato dalla pubblicità televisiva che ha immortalato un caseificio e dimenticato altri. Un potere mediatico, che potrebbe spianare la strada a possibili truffe.  Il più “fortunato” è stato il caseificio sociale di Concordia Ermilia, le cui immagini sono passate più volte nei circuiti internazionali, con le migliaia di forme ribaltate, ma conservate ancora in una struttura refrigerata e integra. E qui che si è assistito al vero e proprio assalto per l’acquisto del formaggio (non stagionato) venduto a 11euri al Kg, con persone capaci anche di litigare pur di non perdere il posto e… il formaggio. E’ solidarietà questa? Peggio invece sta andando a quei magazzini soprattutto del Mantovano,  che   oltre al formaggio hanno avuto danni rilevanti alle strutture, tanto da non poter essere per ora  agibili. Milioni di Euro di danni. Le temperature quasi estive hanno poi completato l’opera con i magazzini senza pareti che fanno entrare il sole. Ma di questi, la televisione non ne ha parlato.  Fortuna di pochi, sfortuna per molti.   

Grande  paura. Non una, ma due, tre, quattro, cinque grandi scosse fino ad arrivare alle 1600 complessive, registrate fino a metà giugno 2012 (dati ufficiali).  “E  potrebbe non essere finita qui!” fanno sapere i tecnici. La prima scossa ne ha poi generata una gemella, e questa un’altra ancora come in un parto infinito, le doglie della terra si susseguono, sfinendo psicologicamente i figli di quella terra. Con un inquietante dubbio che serpeggia tra le tende degli sfollati:”La magnitudine di questo terremoto sarebbe superiore a quella  ufficialmente stabilita. Sarebbe stata del 6.9 ,anziché del 5.9 come viene dichiarato”. Lo dimostrerebbero anche i rilevamenti americani:” Lo Stato non paga i danni se il terremoto è inferiore ai 6° Richter . Fatalità vuole che, quello registrato fosse del 5.9°”. Mitologia del dopo terremoto o mera verità? La questione è sulla bocca di tutti i terremotati , con l’inevitabile  scontata risposta!

Hit (dall’inglese colpo). Due forti colpi dalla terra: 20 e 29 maggio 2012. Uno sciame sismico inatteso. Un colpo per la scienza, uno per la coscienza, l’altro per l’economia.

Imprenditori. Escono dai container o camper trasformati in uffici, dove hanno riposto il poco che hanno recuperato dai loro capannoni, accartocciatisi come fogli di carta. Trecento, forse più, gli imprenditori che offrivano occupazione a diecimila tra emiliani e stranieri, che ora restano disorientati. Un’immagine che da forma al dramma. Il desiderio comune è: “Tornare presto a produrre”. Intanto, è notizia di queste ore un’altro terremoto si sta abbattendo sull’economia emiliana: molte delle multinazionali presenti sul territorio, starebbero valutando di spostare l’intera produzione in altre aree più sicure. Si parla di Svezia, Germania e Francia. Anche questa è globalizzazione!?

Lontano. E dire che qui il terremoto sembrava lontano. Molti paesi hanno come nome “Finale”, ma nessuno s’aspettava una fine così. A rassicurarli, c’erano i geologi che non avevano valutato quanto le faglie dell’Appennino s’incuneassero fin dentro la Pianura, come mani nella marmellata, trasformando in pochi attimi i suoi cittadini in moderni don Chisciotte, che combattono contro un  invisibile nemico. Quel “lontano” è ora più che mai vicino e pare non volersene andare, sebbene la gente voglia scrollarselo di dosso. 

Morti. Poteva andare peggio! Non è una provocazione, ma pura constatazione. Trecento morti nel 2009 all’Aquila. Ventisei in Emilia. Le proporzioni dell’uno e dell’altro terremoto mal si conciliano, ma la considerazione per chi ha vissuto entrambe le esperienze è palese: “Potevano avere migliaia di morti. E’ stata solo questione di tempo: tre-quattro ore più tardi  e qui, come in Abruzzo, poteva esserci una tragedia immane ”. Qualcuno la chiama fortuna, altri fatalità, altri ancora destino!

Neorealismo nazionale. Il terremoto è un’esperienza forte che ti segna profondamente. Che tu viva la scossa in diretta o ne veda le conseguenze attraverso  le immagini, una cosa è comune: il terremoto mette a nudo la nostra fragilità. Siamo potentemente fragili. Ogni disastro è dunque “un esercizio spirituale nazionale” di cui però non facciamo dovuta memoria.

Orribile. Orrore è il prodotto di un terremoto. Orrendo vedere il nuovo cadere, mentre l’antico resistere con ostinazione. Orripilante la risposta alla domanda sul perché sia il nuovo ad  uccidere oggi. “Ci avevano detto  che eravamo al sicuro. Ci avevano detto di costruire in un certo modo fino al 2003. Poi di cambiare  sistema di costruzione fino ad oggi. Ora che tutto è crollato, cosa dobbiamo dire?” s’interrogano i terremotati emiliani,  come pure quelli  di ogni altra area devastata del nostro Bel Paese.  

Panaro /Politica E’ uno dei due fiumi assieme al Reno che tracciano il territorio tra Ferrara e Modena. Luoghi dove la terra sembra aver lasciato firme indelebili. Nelle campagne come nei centri abitati, si assiste ad un fenomeno insolito per la nostra geologia. Crepe profonde anche due metri hanno sputato fuori sabbia. Per la prima volta in Italia (ma il fenomeno è conosciuto in Cile, Messico ecc.) si è parlato di “liquefazione sabbiosa”. Vere e proprie eruzioni vulcaniche (benché di sabbia) che hanno attirato l’interesse dei geologi di mezza Europa. Sabbia questa che faceva parte degli strati profondi dei letti dei fiumi (Panaro e Reno) alle volte deviati artificialmente durante i secoli. “P” come politica: “Se vengono qui da noi, i politici ce li beviamo come il Lambrusco o il Sangiovese…” ammonisce la gente per strada. Difatti, di politici  non se ne vedono da queste parti. E dire che in quanto politici italiani, di scosse e scossoni  loro dovrebbero intendersene!

Quanti sono i danni? Distrutti buona parte dei fabbricati rurali. Cinquecento le attività industriali che hanno subito danni e crolli. Migliaia gli operai fermi. Campanili, chiese, torri, palazzi storici tutti lesionati, dovranno essere restaurati o abbattuti. Danni morali incalcolabili. 

Responsabilità. E’ il classico balletto all’italiana, visto e rivisto nei giornali  e telegiornali, come  un canovaccio di una storia già vissuta. E di fatto lo è!

Stato/Solidarietà. Le due cose nelle emergenze non  sempre vanno di pari passo. “Qui la gente chiede soprattutto garanzie d’intervento. Gli industriali domandano di sospendere il patto di stabilità dei comuni per rilanciare l’economia”. “Basterebbe poi che i clienti ci pagassero i crediti…“ sollecitano gli imprenditori colpiti dal sisma. I cittadini di strada invece, invocano la “sospensione dell’IMU”. Hanno deciso su una sospensione per ora, non per una cancellazione! In realtà, la grande paura è per il tempo che verrà: “Quando si dimenticheranno di noi e di questo ennesimo disastro nazionale”. La storia insegna. La storia torna!

Trema l’Emilia e il Modenese con il terremoto che si comporta come un conquistatore che semina panico con la sua avanzata. Ma a tremare per altri e meno gravi motivi è  l’Italia intera di questi anni. Una condizione senza precedenti con l’aggravio che le già precarie certezze nazionali, sono spazzate via in pochi secondi: è la terra che torna a tremare e fa tremare. “Un esercizio spirituale laico” per tutti. 

Urgenza. E’ un nuovo e più moderno modo di soccorso: non più portare dalle regione più distanti gli aiuti, ma acquistarli direttamente in loco, evitando così lo stoccaggio e i costi di gestione e di trasporto. A chiederlo sono gli stessi volontari: “Non aiuti materiali, ma sostegno economico alle strutture che operano sul territorio. Così si risparmia tempo ed energie preziose per i primi soccorsi. E’ finita l’epoca della raccolta e distribuzione. Con i contributi possiamo fare subito e meglio, attingendo dalle risorse locali”.

Volontariato/volontà. Qui non si è vista la ciclopica macchina degli interventi che si mosse per l’Abruzzo. Quello emiliano è un fenomeno con una portata diversa anche sull’entità dei danni.

All’Aquila è stata evacuata un’intera città. Qui sono tante piccole realtà: S.Carlo, S.Agostino, S.Biagio, S.Felice, Finale, Medolla, Mirandola, ecc. Fondi più scarsi e diversa capacità di gestione degli interventi  hanno portato un volontario ogni sei persone in l’Abruzzo. Uno ogni quattordici in Emilia: “Questo non significa restringere l’efficaci nell’intervento –precisa un volontario alpino-, ora si adotta un primo intervento d’urgenza e poi si mantenere il minimo di personale specializzato, per fare funzionare le strutture e i campi”. La crisi  fa anche questo!    

Zero. Per molti è il punto di partenza della loro vita, cambiata in pochi secondi.

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REPORTAGE FOTOGRAFICO DAL 24 APRILE AL 3 GIUGNO TRA FINALE EMILIA-MIRANDOLA-CONCORDIA (ultimo aggiornamento domenica 3 giugno)