SPECIALE UNITA’ D’ITALIA

SPECIALE UNITA’ D’ITALIA

17 marzo 1861-2011

Cari lettori, non è mia consuetudine scrivere in prima persona  opinioni dirette in queste pagine. Ma anche la mia storia, s’intreccia con quella di un paese, l’Italia, di cui sono parte. A ricordo di una celebrazione che ha fatto litigare gli stessi (politici) italiani, consentitemi qui di usare i nostri tre colori nazionali, per fare una sintesi di quell’Italia che non s’è desta, come degli onesti cittadini che rendono onore all’italianità.

Saluti e auguri da Antonio Gregolin

VERDE E’ il colore della speranza e rinascita.

Verde primavera, come pure il colore dei vecchi banchi di scuola che oggi ci riporta al “caos” della scuola moderna. Del paesaggio che gli italiani devastano giorno dopo giorno, nel nome di un progresso che fa guadagnare pochi e penalizza tutti. Delle tasche “al verde” di molti operai, ma anche laureati. Di giovani (uno su tre è disoccupato), come degli adulti senza più prospettive. Di molte famiglie e anziani orma “al verde”. Delle autostrade spacciate come “le più verdi d’Europa”, che sezionano le ultime nostre campagne. L’età “verde” dei nostri figli sempre più suggestionati dalla televisione, ma che poi non immaginano che una gallina cammina ancora su due zampe, perché abituati alle confezioni di “6 cosce di pollo” vendute al supermercato. Della “benzina verde” arrivata per mera speculazione a 1.575 (?) al litro, mentre gli italiani pagano senza protestare, sapendo che respiriamo veleni quotidiani (che provoca 7mila morti ogni anno e sono in aumento). E’ al verde anche il “verde urbano”, come le casse dei piccoli e grandi comuni. E’ poi il colore preso a prestito dai leghisti. Ma resta soprattutto il colore dei “Cipressi che alti e schietti van da S.Guido in duplice filar…”.

BIANCO. E’ il colore della limpidezza e trasparenza.

Ci manca davvero il candore del “non colore”. Siamo tutti cupi, intimoriti, introversi. Non siamo più trasparenti in ciò che diciamo o facciamo, spinti dall’imperativo del “fare quello che fanno tutti”. Dovrebbe poi essere il colore di quella trasparenza dei nostri politici, mentre invece si mostrano  come “arcobaleni” per ogni stagione. Dovrebbe essere il bianco dei sindaci, che invece favoriscono le loro correnti e cancellano i “contrari”. E’ il colore della Sanità nazionale che va a singhiozzo. Dei camici dei medici condotti, sempre più generici e impegnati nel nome del risparmio. Il bianco dei ricercatori che preferiscono andarsene all’estero. Dei denti “sempre più cangianti” e dei dentisti sempre più cari. Delle schede bianche di chi va a votare sapendo che comunque, vince sempre “il meno peggio” (sempre che ci sia un peggio!). Il bianco auspicato negli appalti e dei progetti, ma assente quasi sempre. Dell’onestà dei cittadini chiamati al rispetto. Della Giustizia. Dell’essere Paese. Delle ultime “strade bianche” non ancora raggiunte dall’asfalto, che ci ricordano di un tempo non troppo lontano.  Delle facce “sbiancate” di chi oggi ha ancora il coraggio d’indignarsi. Dell’idea che il nucleare sia una energia “pulita”. Dei molti sacchetti di plastica di questa Italia che consuma troppo (10 volte di più di quanto noi produciamo) per poi scaricare agli altri (Africa e Germania) la nostra spazzatura. C’è poi il “bianco” etilico dei ragazzi che si ubriacano. Quello della sigaretta che mietono vittime ogni anno (in aumento le donne e ragazze). Il bianco dei cassoni dei camion che governano le nostre strade e autostrade, intasando così città e paesi. Il bianco delle “quote latte”, divenuto uno dei tanti, troppi, misteri italiani. Dei vestiti da sposa che ormai faticano a tenere il passo coi divorzi. Di chi per amore “va in bianco”. Per finire è il colore delle cime innevate delle Dolomiti e dei “trulli” di Alberobello, entrambi  patrimonio dell’umanità.

ROSSO E’ il colore della passione, dell’ardore e sacrificio.

E’ il colore del clima politico italiano, solo che per i nostri deputati non si tratta dell’inferno ma di un paradiso assicurato visti i loro guadagni. Delle morti stradali. Dei delitti di Mafia. Degli stupri. Degli sbarchi dei clandestini. Dei conti della Spesa Pubblica. Degli sprechi. Delle catastrofi naturali (annunciati, provocati e ignorati dallo sfruttamento del nostro territorio). Resta il colore di certi tramonti sulle città d’arte italiane. Il rosso dei “comunisti” citati dal nostro Presidente del Consiglio. Il colore del “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Delle camicie rosse dei garibaldini. Delle lingue infuocate di molti  opinionisti. Il rosso dei semafori “furbetti” usati per rimpinguare le casse comunali. Del sangue versato sul Piave nella Prima Guerra Mondiale. Così come quello chiesto alle truppe italiane nei vari fronti della Seconda, o del sangue versato dai nostri più moderni militari “di pace”. Dovrebbe essere il colore della vergogna di chi  bacia le mani ai dittatori. Di chi fornisce armi o spaccia droga. Di chi evade. Chi fa scempi e costruisce male. Di chi dice che di “cultura non si vive”. Chi crede che nel confessionale “rosso” del Grande Fratello si dica la verità. Di chi vuol farsi raccomandare. Ma soprattutto di chi gestisce l’economia, compreso chi prevede una spesa da due milioni di euro per la visita del Papa in Veneto. Ma il rosso è anche il colore dell’amorosa passione che gli stranieri ci riconoscono. Dei muri della Pompei che crolla. Dei mattoni di molti nostri monumenti. Ma soprattutto, è il colore della pasta al pomodoro e di tutta quella bontà che almeno a tavola, ci fa assaporare la vera “Unità” italiana.

DARIO BALLANTINI: l’uomo, il comico, il pittore

Di Antonio Gregolin -©riproduzione vietata del testo-

UN BALLANTINI D’AUTORE

E’ il volto più conosciuto della comicità italiana. Ma è anche pittore e attore. Tutti lo vedono in video o teatro, ma il vero Dario Ballantini resta una scoperta come ci rivela in questa intervista.

Bravo, simpatico e amato anche da chi lui “canzona”. Elementi che difficilmente mettono d’accordo tutti quando oggi si parla di comicità in Italia. Ciò che però Dario Ballantini mostra nei diversi panni, è l’incarnazione di un modo di fare della comicità, un’arte viva e senza faziosità. E’ per questo, forse, che Ballantini oltre a fare sorridere i milioni di spettatori del telegiornale satirico Striscia la Notizia, piace anche a coloro che interpreta (Valentino,Vasco Rossi, Brambilla , Maroni). Ma Ballantini va oltre il video e si rivela in questa intervista vis a vis, un attore, pittore con un sogno da realizzare: “Mi piacerebbe fare il regista…”.Ecco perché relegarlo solo nella veste di comico pare riduttivo per uno poliedrico come lui che fa dell’arte un’espressione tragicomica, come hanno fatto i grandi artisti di ogni tempo. Se sorge spontaneo apostrofarlo come “maestro”, ecco come vi risponde: “Mi sarebbe piaciuto aver fatto anche il maestro delle elementari…da grande!”.

Niente male essere un personaggio di successo in televisione, al cinema come nelle sale museali? Lei dunque, incarna una sintesi come pochi possono vantare: pittore, attore, comico, ecc.

Lei crede? Anch’io, e credo che molto lo debba anche a chi ha creduto nel mio talento….”

Intende dire chi l’ha scoperto?

Fin dall’infanzia ho desiderato recitare e dipingere, in quanto mio padre dipingeva e mio nonno recitava. Quella è stata la mia prima scuola di vita professionale. Già a scuola manifestavo particolare predisposizione al disegno, così mi iscrissi al Liceo artistico. Contemporaneamente però coltivavo anche l’altra passione: lo spettacolo, partecipando a lavori teatrali dialettali, come a trasmissioni radiofoniche in qualità di imitatore di una radio locale. Poi da cosa è nata cosa, ed eccomi qua!”.

Poi è arrivata Striscia. Quando e come è successo?

“Nella lontana preistoria.. Scherzo! Era il 1994 proponendomi ad Antonio Ricci che mi aveva visto vincere un concorso per giovani talenti nel 1989″.

Crede  e più nella fortuna o nel talento?

“Il talento è fondamentale, la fortuna non guasta”.

Qual è il ruolo che sente più suo?

“La passione è per l’arte in generale, quindi quando riesco a fare arte, che sia interpretare un personaggio o realizzare un quadro, in quel frangente prevale di volta in volta il ruolo in cui mi cimento. Ecco perché non ho qualcuno che preferisco: quando sono impegnato artisticamente sono quello che sono in quel momento”.

C’è però un particolare che balza subito all’attenzione ogni volta che Lei imita dei personaggi: la misura!

Non è solo merito mio, mi faccio aiutare da David Lubrano che è un bravissimo autore e mio coetaneo, formatosi alla scuola di Ricci. In generale, cerco di rendere credibile ogni riflessione dei miei personaggi politici in modo che sia il pubblico ad evincerne il senso. Cerco di non essere fazioso per essere credibile nei miei intenti! Il mio equilibrio corrisponde all’immedesimazione nel lato tenero ed umano delle mie vittime, che parlano spesso di se stesse con indulgenza. Per questo spero di essere corrisposto con altrettanta indulgenza. La formula è non offendere mai, ne dare scandalo. Pur dicendo cose offensive e scandalose mantengo sempre alto il livello di umanità e giocosità che spero contraddistingua i miei personaggi”.

Lei però sembra sfuggire anche al gossip. Lo fa per riservatezza, prudenza o timidezza?

Non è vero che non si siano occupati di me gli specialisti del gossip. Quando l’hanno poi fatto, sempre a mia insaputa quando, è avvenuto nel momento in cui ho attraversato momenti di separazioni ecc. Però in n generale credo e spero di non aver bisogno di creare scandali per pubblicizzare il mio prodotto e mi auguro di seguitare a vivere senza “aiutini” futili come questi, che spesso sono mediazioni tra complicità. Ecco perché trovo imbarazzante ingannare chi legge”.

Come riesce a mantenere questo “virtuosismo”?

“Continuando a lavorare molto per Striscia la Notizia, i miei spettacoli dal vivo, in radio e l’allestimento di mostre pittoriche. Attività queste che concorrono a mantenere vivo l’interesse lasciando poco spazio a chi vuol farti le pulci coi pettegolezzi”.

E se le dicessi che è un moderato della satira?

“Ammetto di sentirmi molto libero, ma aggiungo di cercare costantemente l’equilibrio perché la satira non può essere partigiana”.

Cosa intende per satira?

“Parafraso la descrizione di Antonio Ricci, secondo cui la satira “è come escremento di piccione sopra un monumento importante”. Rende l’idea?”.

Quanta improvvisazione c’è nel suo ruolo e quanto invece Lei prepara a tavolino?

Esattamente metà e metà, perché non posso sapere cosa mi risponderà l’interlocutore”.

A microfoni spenti cosa accade attorno a Lei?

“In generale pur sapendo che sono truccato si comportano quasi come fossi l’originale, quindi mi salutano cordialmente e se ne vanno”.

Qual è invece l’aspetto che coglie con maggior interesse quando studia un personaggio?

Spesso mi accorgo che se un mio personaggio è goffo, ricorda un tipo goffo dell’immaginario comune e questo serve a codificare una sorta di risata popolare. C’è poi la tenerezza e la debolezza dell’essere umano con i danni tragicomici dell’insicurezza.

Considerando che studia da vicino i nostri governanti: come li giudica?

“Appartenenti ad un gioco spesso più grande di loro ed inevitabilmente pieno di compromessi e di frasi di circostanza”.

Crede che la politica abbia le capacità di superare la fantasia della stessa satira?

Direi di no!”.

La cosa che non ha ancora fatto e che vorrebbe fare nella vita…

“Realizzare un film che racchiuda tutte le mie arti in un’unica opera”.

Ci proverà?

“Ci proverò!

Si vocifera che i più grandi comici, facciano ridere gli altri, ma intimamente siano malinconici”. Lei lo è?

Credo che tutte le persone sensibili non possano evitare la malinconia. Ammetto che pur cercando di sforzarmi, sono stati in molti ad affibbiarmi questo classico abbinamento”.

Provi allora a darsi un giudizio?

“So di essere una persona complicata, ipersensibile, votata allo scavo psicologico dell’essere umano, sia a fini interpretativi nel lavoro, che per filosofia di vita”.

Stando sul generale, si sente parte della satira nazionale?

“Sono molto amico di Vauro (vignettista di Anno Zero Ndr) e stimo i moltissimi miei colleghi pur ritenendo di avere una mia linea che si differenzia dalla procedura standard della “battuta secca”.

C’è un personaggio che ama di più o che vorrebbe imitare?

Ho amato molto Gino Paoli e Margherita Hack, ma capisco che sono un po’ di nicchia.

Mi può anticipare il suo prossimo personaggio?

Non ho ancora deciso”.

Lei fa spesso la parodia dell’Italia: cosa le piace e cosa no di questo nostro Paese?

La tendenza al pacifismo, la geografia ed il patrimonio culturale. Mi disturbano la poca meritocrazia, la corruzione, l’approssimazione, la maleducazione e l’indolenza. Oggi in questa società, navigo a vista cercando di individuare persone corrette e possibilmente ottimiste. Cosa non facile, mi creda!”.

Che rapporto ha con il mondo della televisione?

Con l’escamotage di realizzare servizi televisivi on the road riesco ad esserne più fuori che dentro per non omologarmi”.

Qual è il comico che più ammira?

“Ce ne sono molti: Albanese, Panariello,Brignano, Tortora, Battista, i Fichi d’India. Per il passato: Totò, anche al di sopra di Chaplin”.

Il pittore?

“Modigliani e Picasso”.

L’attore?

Anche qui ce ne sono tanti: Mastrandrea, Bentivoglio, Placido, Carlo Cecchi…”.

Ciò che fatica a nascondere però, è l’animo gentile che lo porta a non uscire mai dalle righe. Particolarità più unica che rara soprattutto tra chi oggi fa spettacolo. Non Trova?

E’ rara solo perché troppi personaggi non lavorano per il sacro fuoco artistico, ma per altri obiettivi”.

Cosa ha rinunciato e cosa invece non vuole rinunciare stando davanti al video?

“Ho rinunciato al teatro puro, abdicando in favore di spettacoli dal vivo da alternare agli impegni televisivi”.

Come si giudica come comico?

Un buon comico, ma non sempre valorizzato anche per colpa mia…”.

Ovvero…

Intendo dire che anche io truccandomi sempre da altri e realizzando opere dove regna una sorta di caos, contribuisco a confondere le idee nel tentativo di comprendermi”.

E come pittore?

“Potrei dare molto di più ma l’interruzione di circa 10 anni dal 1990 al 2000 mi ha in parte penalizzato”.

Pittura e comicità si possono  fondere?

Sono la  linfa di una creatività incontrollabile che ti viene da dentro. Ma sono anche la parte tragicomica della vita di un artista”.

Si sente più realizzato come comico, attore o pittore?

Direi come trasformista, perché come comico puro non mi sono ancora espresso. Come attore ho avuto poche occasioni e come pittore pur essendo soddisfatto, la strada è ancora lunga.

Con quale stile e spirito dipinge i suoi quadri ?

Lo stile deriva dall’Espressionismo, in parte dall’Action Painting ed in parte dallo stile del gruppo Cobra. Lo spirito è quello del lasciare libero lo sfogo quasi irrazionale per stupirmi anch’io del risultato.

Si è mai capacitato sul perché Lei faccia il comico o il pittore?

Per non ritenere adeguate le sole parole ad esprimere la complessità misteriosa ed insondabile dell’essere umano”.

Il tema prevalente della sua pittura, sembra l’uomo, perché?

Perché l’uomo è al centro del nostro universo, non posso fare a meno di trattare il suo argomento. Rimane una cosa misteriosa con il suo riflettere su se stesso.

S’intravvede però della spiritualità nei suoi quadri!

Penso sì, tra l’altro è forse l’unica cosa che davvero continuo ad approfondire dall’adolescenza.

Crede in Dio?

Ci spero e ci credo altrimenti siamo davvero in un deliro senza senso.

Come le piacerebbe essere ricordato?

“Come un personaggio unico, difficilmente classificabile”.

Ha mai pensato di abbandonare il video per dedicarsi ad altro?

Hanno provato a farmelo abbandonare, ma è stata proprio la molla che mi ha portato ad una felice produzione di personaggi TV varia e popolare. Non tutto il male vien per nuocere! Se avessi abbandonato mi sarebbe rimasto comunque il cinema, il teatro e la radio”.

Una curiosità: l’errore più grosso che sente di aver fatto?

“Aver abbandonato troppo presto personaggi da consolidare”.

Facendo un bilancio della sua carriera, ad oggi quali sono le cose che la rendono più felice?

“Aver compreso che il mio piccolo gruppo di persone composto dal mio manager Massimo Licinio, da pochi e fidati collaboratori e dai miei figli sono il target sul quale baso e fondo il mio successo! Il che mi basta, eccome…”.

“FACCIO RIDERE, MA NON SOLO…

Dario Ballantini, nasce a Livorno il 13 ottobre del 1964. Studia arte al Liceo Sperimentale. Dopo il diploma comincia a partecipare ad esposizioni di gruppo nell’ambito Livornese-Toscano. Anni dopo, ad una rassegna “Rotonda Expo”, il presidente del Senato, Giovanni Spadolini, sceglie una sua opera per la propria collezione privata. Lavora contemporaneamente in radio e teatro. Il suo battesimo televisione avviene nel programma Ciao Gente di Corrado nel 1983. Nel 1994 entra nella squadra di Ricci nel programma Striscia la Notizia, dove riveste i panni comici di Valentino, Vasco Rossi, Gianni Morandi,Valentino Rossi, Michela Vittoria Brambilla, Roberto Maroni, Luca Cordero di Montezemolo, Gino Paoli, Nanni Moretti, Margherita Hack,Guido Bertolaso. Si profila ora anche una carriera come attore e regista, realizzando così un suo desiderio.

LA MEMORIA DEL MURO. BERLINO 1989

di  Antonio Gregolin                               -© riproduzione vietata del testo –

“QUEL MURO DENTRO”

Le memorie di un incontro (1992)  con un italiano che vendeva pezzi del muro Berlino,  che  ha vissuto da  testimone tutta la  storia dal 1950 ad oggi.

Capita spesso che dagli archivi spuntino frammenti di storia, anche comune. Come l’incontro che feci nel 1992 con “Frank”, triestino di nascita, diventato berlinese nel 1959, due anni prima della divisione della  Germania. Dopo la caduta di “The Wall”, Francesco ormai ottantenne, per arrotondare la sua pensione ha venduto per anni frammenti  di muro ai turisti a caccia di “tracce” di un simbolo che non esisteva più. Lui, quale testimone della storia, vendeva i pezzi di quella storia: ” Il Muro l’ho visto costruire e poi distruggere…”.

L’ERRORE CHE FECE CADERE IL MURO…

Dalla paura al ricordo. Dalla storia alla memoria. Vent’anni dopo (1989-2009), quello che  fu una ferita nel cuore dell’Europa, appare sempre più come uno sbiadito ricordo che le nuove generazioni leggono solo sui libri, coi testimoni  che si sfoltiscono col tempo. L’ottantenne “Frank” alias Francesco, è uno di questi. Migrato da Trieste arrivò a Berlino nel lontano 1959. Della città ha visto tutti gli storici cambiamenti. Oggi le sigle DDR e BRD restano pressoché indecifrabili ai giovani che sbarcano nella capitale tedesca. Quel muro cadde (dopo trenta anni) con la medesima rapidità con cui venne edificato. Di più: fu  colpa di un errore umano che permise alla storia di compiere un balzo in avanti, sgretolando un sistema ritenuto granitico.

Correva l’anno 1989, quando l’autunno (era ottobre) faceva presagire che oltre alle foglie, presto sarebbe caduto un confine, un’idea, una società. Toccò ad un involontario militare della DDR di presidio presso il  celebre check-point “Charlie” la notte del 31 ottobre 1989, a travisare l’ordine: “Aprite la sbarra e lasciate passare tutti i cittadini…”. Esegui senza esitare, ignaro che quella suo gesto avrebbe cambiato le sorti dell’intera Europa.

“LO VIDI COSTRUIRE E  POI DEMOLIRE

Di quel massiccio muro resta solo un segno bianco o grigio  sull’asfalto. Effetto dissasivo, o mera richiesta turistica? E’ il dubbio che resta latente ogni qualvolta si rifà la storia: da Berlino, fino a Bagdad. Così ai turisti che oggi visitano la capitale riunita in cerca di cimeli storici,  il passato è cancellato da uno dei più grandi cantiere del mondo. Oltre ai pochi segni  sull’asfalto, del muro non resta che un piccolo museo a ridosso dal checkpoint “Charlie” e poche cartoline per turisti. Le ultime vestigia del muro, ammirati come reperti archeologici in un angolo seminascosto nei pressi della Porta di Brandeburgo, lasciano poco spazio anche la fantasia.

Quei pochi metri di cemento di tre metri d’altezza ricoperto da una patina colorata, scampato alla distruzione del’89, si è salvato per volontà della gente del vicino quartiere. “Nessuno l’ha mai voluto togliere, neppure dopo la sua caduta…”, mi spiega l’ottantenne Frank che vede quel muro dalla finestra del suo appartamento poco distante. “Sì, quel muro io l’ho visto nascere e poi distruggere; e questo è tutto ciò che resta: solo frammenti”, mi dice mostrandomi schegge colorate di cemento disposte su un improvvisato banchetto, che vende ai turisti a 5-10 marchi”.

Ciò che non è in vendita, sono i suoi ricordi di testimone oculare: “Nel 1960 ho sposato Gitta, berlinese dell’ex Germania dell’Est, un anno primo che il muro fosse edificato”. L’accento triestino, Frank non se l’è dimenticato, e benché parli  fluentemente il tedesco, la cadenza conferma le sue origini italiane. Oggi è un vecchietto tranquillo dalla voce bassa e il fare dimesso: “Per alcuni anni –racconta l’anziano-, ho avuto un piccolo banchetto abusivo a pochi metri dal Checkpoint Charlie, in cui vendevo con qualche foto o stemmi dell’Armata Rossa e frammenti di cemento che io stesso andavo a recuperare in quello che veniva chiamato “Friedhofsmauer”, ovvero il cimitero del Muro,

dove erano stati ammassati buona parte dei lastroni divelti della lunga striscia di cemento (106 km) che dividevano la città, in attesa di essere poi sbriciolati ed essere trasformati in fondo stradale”. “In quegli anni (dal 1989 al 1995) –prosegue l’uomo, questo fiorente commercio per turisti era conteso tra immigrati  turchi e greci che ne avevano il monopoli. Io ero l’unico italiano tollerato! Così mi dividevo dal checkpoint e l’altro lato della Porta di Brandeburgo vicino casa mia, dove restano ancora i resti del muro e le fondamenta di alcune case appartenute alle SS nel 1940. Il luogo era (e  rimane Ndr) un piccolo museo all’aperto, con due muri: quello del Nazismo e poi del Comunismo, entrambi caduti in rovina.

In mezzo c’è l’esperienza raccontata da “Frank”: qualche dettaglio storico lui lo rammenta, eccome. Ricorda la fretta con cui  nella primavera del 1961 il muro venne edificato: “L’ho visto tirare su in pochi giorni, tanto che per la sua precarietà tutti credettero che sarebbe stato smantellato di lì a poco e non sostituito, come invece poi avvenne, con lastroni di cemento.

“QUELLA LINEA BIANCA CHE DIVENTO’ UN CONFINE…”

Da subito venne tracciata una linea bianca che sarebbe diventata presto un confine reale che  divideva case, palazzi, strade e chiese senza distinzione alcuna. “In poche ore molti berlinesi si trovarono ad avere la cucina nella zona Est e il salotto all’Ovest, senza poter fare nulla”. In pratica però, la “Todesstreifen la linea  della morte, tagliava trasversalmente la Germania e la stessa Berlino: ”Pensammo così -racconta Franco- che molto presto sarebbe scoppiata una guerra tra le due superpotenze proprio per quel muro… Non andò così, ma nacque un confronto durissimo tra i due blocchi, “la Guerra fredda” che durò per anni. All’alba del 13 agosto venni spinto dalla curiosità di vedere cosa stesse accadendo. Vidi i primi soldati volontari  dell’esercito russo schierarsi davanti alla storica Porta di Brandeburgo, proprio dove oggi i turisti passano coi loro pullman. Era l’inizio di tutto. E dire che fin da giovane mi sono trovato a dover convivere con le guerre: avevo dieci anni quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Subito dopo vissi la separazione dall’Istria imposta dai “Titini”. Ora assistevo alla divisione della Germania. In pochi giorni vennero tagliate tutte le vie di comunicazione dall’Est all’Ovest: strade, ferrovie, aeroporti e migliaia di persone si trovarono separate. La temuta  Volks-polizai (la polizia del popolo) gestiva l’ordine pubblico nella zona Est. Chi riuscì a fuggire in quei concitati momenti, scappò all’Ovest nella maniera più roccambolesca. Si scappava nascosti dentro i sedili delle auto, nascosti nelle valigie o attraverso i tunnel di 80-100 metri, costruiti dai partigiani e gestiti dagli studenti. Per molti anni, i giornali riportarono le vicende e i morti di quelle fughe dalla  DDR suscitando la nostra ammirazione e curiosità”, spiega Franz. Lo stesso padre della moglie Gitta che si trovò confinato nella parte Est. Dopo molti giorni  gli fece recapitare un messaggio su un pezzo di carta da giornale, scrivendogli: “Probabilmente non ci vedremmo per molto tempo. MI spiace. Ti voglio bene! Aspettami!”. Suo padre morì due mesi dopo a causa di un attacco cardiaco: “Un infarto che senza dubbio -ripete oggi Franz-, fu la conseguenza diretta di quel muro. Fu per il suo funerale che entrammo per la prima volta nella DDR. Ricordo che passammo a piedi per il checkpointCharlie” con un permesso speciale ottenuto grazie al mio passaporto italiano. Non avevano ancora eretto il grande muro di cemento, ma la linea di confine era già invalicabile: era un muretto provvisorio circondato da un’infinità di reticolati, sorvegliato a vista da soldati pronti a sparare”. “Di seguito, andammo all’Est solo per incontrare gli amici e parenti. Le strade allora erano impraticabili e piene di buche. Alexandrer Plaz era l’unico centro commerciale dove la merce arrivava in stock e si esauriva in poche ore, per poi attendere settimane prima di rivederla sugli scaffali”. “Nei primi mesi dopo la separazione,  la gente della zona comunista, per necessità aveva rispolverato così anche divise e cappelli dell’armata nazista abbandonati venti anni prima. Le case stesse davano un’immagine lugubre, e le persone  si comportavano di conseguenza. Era un altro mondo dove tutti cercavano di non dare troppa confidenza per paura della famigerata “Stasi” (la polizia segreta): l’incubo quotidiano al di là del muro”.

“Nei negozi la merce scarseggiava –ricorda la moglie Gitta-, e noi dell’Ovest potevamo portare solo del sapone perché quello loro puzzava tremendamente, poi calze di naylon, caffè e vestiti. E basta! Sapevamo  che era tassativamente vietato introdurre giornali, libri, e in particolare “Topolino”, ritenuto un simbolo fuorviante del capitalismo occidentale. Ma il divieto era anche per i fiori recisi, le radio e televisori. Le foto potevano essere scattate solo in certe zone. Ricordo  l’episodio avvenuto ad un ufficiale americano nel 1985, freddato da una sentinella mentre stava fotografando una caserma sovietica. Non scherzavano affatto quelli…”.“Curiosi erano i racconti fatti dalla propaganda della DDR su noialtri: raccontavano ai bambini che noi “imperialisti” avevano le corna come degli animali, e  li avremmo derubati se fossero passati di qua! Questo giustificava il timore che avevano quando c’incontravano!”.

“ERA DI UN CEMENTO SPECIALE…”

Me lo mostra prendendolo direttamente dal suo banchetto il materiale speciale (cemento reso compatto da una particolare miscela di sassi, sabbia e calcestruzzo)  con cui era composto il  Muro di Berlino: “Le facciate dei lastroni erano colorate di graffiti all’Ovest, mentre era bianco nella parte Est per facilitare l’individuazione di chi tentava la fuga…”.  “L’errore è stato proprio quello di smantellare il tutto dopo la caduta. Del Muro non c’è più traccia o quasi, mi dicono che sia rimasto un pezzo 25 km fuori Berlino, ma che nessuno va a vederlo” conclude Franz, prima di salutarmi. “Dovevano conservarne un tratto  per dimostrare a tutti ciò che questa città ha subito. Non  basta aver lasciato un segno bianco sui marciapiedi di oggi per  spiegare cosa sia  stata per noi la “Guerra Fredda!”. Così a poco sembra servire anche il gesto della  piccola statua di bronzo eretta dinnanzi alla Porta di Brandeburgo che sembra urlare agli orecchi delle giovani generazioni le parole del nostro Petrarca: Urlate al mondo la pace!”.

Franz ormai avanti negli anni si dice preoccupato che si dimentichi tutto e troppo in fretta: “La stessa fretta di quei turisti che oggi si fanno fotografare a Berlino con il segno della vittoria, senza poter capire o vedere cosa abbia significato per noi testimoni quel muro maledetto!”.

  • Cronologia del muro:
    1945 – fine della seconda guerra mondiale
    1949 – divisione della Germania
    1961 – erezione del muro di Berlino, fortificazione del confine tra le due Germanie
    1989 – caduta del muro
    1990 – riunificazione della Germania
  • Numero di persone fuggite dall’est all’ovest prima della costruzione del muro:
    – totale (1949-1961): ca. 2,6 milioni
    – media annuale (1949-1961): ca. 220.000
    – su una popolazione totale della ex-DDR di: 17 milioni
  • Abitanti di Berlino ovest che, fino al 1961, lavoravano ogni giorni all’est:ca. 12.000
  • Abitanti di Berlino est che, fino al 1961, lavoravano ogni giorni all’ovest:ca. 53.000

Il muro davanti alla porta di Brandeburgo

  • Lunghezza del muro di calcestruzzo: 106 km
  • Altezza media del muro di calcestruzzo: 3,60 m
  • Lunghezza di altri impianti con recinti fortificati e filo spinato: 127,5 km
  • Altezza media dei recinti fortificati: 2,90 m
  • Torri di osservazione al confine intorno a Berlino: 302
  • Larghezza della striscia di territorio all’est (vicino al muro o vicino al confine tra le due Germania) al quale si poteva accedere solo con un permesso speciale: da 40 m a 1,5 km
  • Persone fuggite da Berlino est a ovest:
    – a piedi, nei primi due mesi nei punti non ancora completamente fortificati:
    ca. 600
    – soldati dell’est fuggiti a piedi, nei primi due mesi: 85
    – attraverso dei tunnel scavati sotto il muro (1962/63): 137
    – con automobili preparati per nascondere delle persone: ca. 2.000

  • Persone uccise nel tentativo di attraversare il confine da est a ovest:
  • – lungo il muro di Berlino: ca. 230
    – lungo il confine tra le due Germanie: ca. 650
  • Persone ferite nel tentativo di attraversare il confine (a Berlino e lungo il confine tra le due Germanie): ca. 850
  • Persone arrestate nel tentativo di attraversare il confine: numero imprecisabile, sicuramente molte migliaia
  • Soldati dell’est uccisi in scontri di fuoco con persone fuggite, soldati americani o polizia dell’ovest: 27

FOTO-MEMORIA

Le foto seguenti testimoniano ciò che rimane oggi del muro di Berlino (foto M.Monti)