MAURO CORONA, “EL SALVAREC” DELLE DOLOMITI

di Antonio Gregolin                                                     -testi e foto riservati-

MAURO CORONA: L’ULTIMO “OM SALVAREC

Sono in pochi  a  ricordarsi oggi chi e come fosse l’Om Salverec (l’Uomo  Selvatico) dell’ antica mitologia  cadorina  . Di certo c’è che se  questa mitica figura   esistesse, avrebbe molti  tratti in comune con l‘Om Mauro Corona di Erto.  Lui sta alla montagna come il leone alla savana. La Erto moderna, quella di cemento voluta dopo il disastro del Vajont del 1963, ha poco del fascino del borgo montano. Anzi, è un quartiere suburbano trapiantato tra le montagne con tutte le contraddizioni che ha poi portato al disastro del Vajont.  Se l’immagine del piccolo paese impatta con l’immaginario che ancora sopravvive quassù, lo spirito del vecchio paese e paesani è incarnato da quel “selvadego” di Mauro Corona, alpinista, scultore, scrittore e grande affabulatore . Quattro cose racchiuse in  un unico carattere granitico e ruspo come le pareti che lui ama scalare. Chi lo conosce sa come prenderlo. Chi invece lo cerca, Corona può essere dappertutto: dentro il suo studio, nella sua palestra domestica o al bar del  paese.

In paese ti dicono che Corona è là, forse dall’altra parte, nel bosco, in montagna, nello suo studio, in baita, ma in realtà quasi nessuno ha la certezza sul dove e dove trovarlo.  E’ il bianco e nero, il certo e l’incerto che distingue il carattere stesso di Corona: il  candore dell’ ingenuità e spontaneità, e il nero della violenza assorbita dalla storia di queste montagne e della sua gente.Alla fine su una cosa si è concordi: Corona lo ami o lo odi, mentre nel mezzo sta tutto il mondo di parole e forme del modo di esprimersi per cui Corona ormai è conosciuto in tutta Italia. Oggi che ha raggiunto la celebrità dello scrittore sono in molti a cercarlo, ma lui puntualmente si nasconde nella sua tana. Schivo ad ogni richiamo ed esplosivo negli atteggiamenti, il carattere dell’orso gli è rimasto, anche se oggi frequenta dibattiti o trasmissioni televisive. A dimostrazione che Corona “non ha cambiato pelle o quasi”,  è la dimostrazione che lui sia cambiato poco da quello che conobbi  più di dieci anni fa, quando ancora era  lo “strano selvadego” di Erto.

Di quegli anni  (1989) conservo ancora questa  intervista, fatta dentro la sua “tana avvolta in profumi di cirmolo e fumo di toscano, quando ancora il Corona non era la figura  famosa (ma ancora con il pelo) che è oggi.

TERRA AMARA.TERRA AMATA

Quella di di Longarone è una terra speciale perchè colpita da una catastrofe di nome “Vajont”, quando nel 1963 una gigantesca ondata d’acqua spazzò via in pochi secondi il paese di Longarone,  Erto e Casso. Il fianco del monte Toc (non a caso toco in dialetto) era franato nel lago artificiale  della diga del Vajont soprastante i paesi. L’onda d’acqua che scavalcò la diga spazzò via in un baleno vite e cose.Duemila morti. I segni di quella tragedia sono ancor oggi  vivi, anche sugli alberi. Basta osservare la grande ferita della secolare sequoia sul greto del Piave. Ci sono poi i ricordi, di cui  Mauro Corona si fa custode: “La natura ci diceva quello che stava per accadere! Bastava solo ascoltarla! La montagna si lamentava, faceva capire che stava per franare nel lago.Gli uomini non l’hanno ascoltata. Lei gridava, si smuoveva di giorno in giorno, come se volesse avvertirci”.

Il grido della natura che si  levava dalla montagna  l’avevano sentito in tanti,  ma rimase inascoltato, come  accade spesso ancor oggi,   Così è rimasto poco  della  Erto antica: “L’ambiente  qui si è  trasformato  come  le persone.  I drammi ti cambiano dentro, e ricordi così ti cambiano dentro…” spiega Corona. Sento che mi sta parlando l’uomo, lo scrittore, il testimone, il sopravvissuto, che visse da bambino quella notte di morte, descritta con vivacità nei suoi primi e più intensi libri:  Il volo della martora. Le voci del bosco. Finché il cuculo canta.

GIOBBA, PIN, GUSTIN, PALAN

Corona si scoprì scrittore per caso, ma soprattutto per necessità: “Sentivo di doverlo fare, perché raccoglievo dentro di me i ricordi della mia gente, della Giobba, di Pin, di Gustin, di Palàn. Amici in parte morti ma sempre vivi dentro di me.

Ma dovevo anche assicurare del cibo ai miei figli che crescevano. Avevo i ricordi, fino ad allora avevo letto vagonate di libri e carpito i segreti della scrittura. Scrivere è come scolpire: dai e dai, cava e meti, limando le parole  finchè non vien fuori quello che vuoi”. E’ impossibile però immaginare uno con la tempra di  Corona davanti a un computer  (oggi ci pensano i suoi tre figli diventati grandi): “ Tutta roba  in più…” dice lui, mostrandomi i taccuini che porta con se quando va a scalare o camminare nei boschi.  Poco più che diari, dove però tutto è scritto con una calligrafia precisa, lineare e minuta. “Scrivo per restare libero” aggiunge lui. Di Corona si è detto già molto, ma c’è stato chi in tempi non sospetti, ebbe da definirlo così: “Un grande artista, schietto e intenso, con il quale bisognerà fare i conti a fondo”, disse   lo studioso e scrittore Claudio Magris. “E’ la sintesi tra Buzzati e Rigoni Stern”, aggiunse lo scrittore Carlo Sgorlon . “Io – precisa Corona – non sono uno scrittore regolamentare. Capito! Non ho titoli di studio. Che mi definiscano pure come un ‘carpino’, uno di quegli alberi che hanno un legno contorto, onesto, capace di adattarsi al peggiore. Gli alberi sono come noi: ognuno con il proprio carattere, fortuna e disgrazia. Ho trascorso quasi cinquant’anni di vita nei boschi, quasi da selvaggio cercando di parlare con gli alberi.

Loro non si spostano, ma hanno un loro carattere. Al mondo ci sono pochi uomini che assomigliano al faggio, al “carattere” buono del larice o all’eleganza della betulla… Tanti, troppi oggi, assomigliano ai sambuchi…” scrive nel suo libro“ Le voci del bosco”. Non  è  poi un caso che le sue braccia muscolose, evidenziate da una canottiera nera che porta indistintamente col caldo come col freddo, somiglino proprio ai robusti rami  degli alberi che cita. Il suo fisico, seppur minuto, è come un tronco in cui i segni della fatica s’intrecciano con quelli della forza bruta, con evidenti cicatrici  legate a speciale incontri, che porta come segni di guerra. Vivere quassù, è come stare in guerra” mi disse lui una volta. Uno di questi segni gli è stato inferto nientemeno che  da un’aquila, mentre  in una delle sue scorribande giovanili, tentava  di sottrarre dal loro nido degli aquilotti: “Improvvisamente -racconta-  essa si lanciò come un proiettile verso di me. Chiusi gli occhi mentre menavo colpi con la roncola nell’aria, cercando di difendermi. Fui sicuro di aver colpito qualcosa, nello stesso istante sentii sul braccio destro la rasoiata dell’artiglio. L’aquila virò di colpo e si allontanò sbilenca lasciando nel nido tre penne remiganti dell’ala sinistra attaccate a un brandello di carne”. “Da quel momento, ogni volta che penso a quell’animale ferito, al suo istinto violato di madre,  non faccio altro che comprendere il mio  errore. Ed ancora oggi  cerco su nel cielo quella aquila monca e il suo spirito. Questo suo racconto è  una delle tante parabole che descrivono quanto il passato di Corona contrasti con il suo presente di uomo che ama e rispetta la natura: da cacciatore a singolare  romantico.

TRA ALBERI E ANIMALI

Per molti anni infatti, è stato   cacciatore, boscaiolo, scavatore: “L’ultima volta che uccisi un camoscio, ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi mentre stava morendo: in quello sguardo, in quei pochi secondi ebbi modo di rivedere ciò che finora era stato. Capii che dovevo smettere di cacciare, anche se la mia era una forma di sopravvivenza”.

UN PADRE NON PAPA’

I suoi tre figli lo sanno di avere avuto un padre particolare in tutti i sensi: “Diciamo che ho cominciato a fare il vero padre – confessa Corona-, verso i cinquanta anni. Meglio tardi che mai, comunque!”. I figli spesso lo seguono nelle sue arrampicate di cui è specialista: ha aperto 230 nuovi vie di roccia, dalle Dolomiti d’Oltre Piave, quelle di casa sua, fino alla Patagonia, al Tibet, alla Groenlandia. “Quando devo salire in parete, dice Corona, cerco di ascoltare la montagna; se ce bisogno attendo anche per giorni il momento in cui la montagna si lascia conquistare”. Sembra quasi un corteggiamento. “Posso dormire ai suoi piedi in compagnia di aquile e camosci, trovando in essi ispirazione per quel che mi servirà quando tenterò l’arrampicata. L’importante è che non mi rompano i cogl…..!”.

antica immagine dell’Om salvadego

E quando Corona minaccia, è bene starsene lontani, perché da scultore si trasforma in gladiatore, con le parole che possono diventare armi. Il  bello, quello che alimenta  una vita quasi leggendaria, sta in questo: non sai mai fino in fondo ciò che Corona vuol dire o fare!  Rimane  uno che non si fa prendere e non si lascia prendere da nulla di ciò che lo può allontanare da  quello che più ama: le montagne. Mauro Corona, senza i suoi boschi e montagne perderebbe le forze come accadde ad Anteo, il gigante del mito greco che poteva essere vinto solo staccandolo dal terreno. A  modo suo lui resta un gigante moderno, ma con l’animo da ultimo  “Om salvarec”  delle nostre Alpi.

MILENA GABANELLI: IL VOLTO NOTO DELLA “SCOMODITA’”

di Antonio Gregolin e Maria Grazia Marcazzani -diritti riservati-

IL VOLTO NOTO DELLA “SCOMODITA’”

Milena Gabanelli, è la nota giornalista e conduttrice di Report che si è fatta intervistare, mostrano il suo lato più umano che risponde anche alla sua “indipendente” professionalità.

E’ la “donna scomoda”della stampa italiana, come pure una dei volti più noti della televisione. Grintosa, graffiante e intraprendente sono gli aggettivi che meglio rappresentano Milena Gabanelli, giornalista indipendente, conduttrice di Report una delle trasmissioni Rai di punta della domenica sera su Rai Tre, cui va il merito di aver condotto inchieste e reportage che stanno facendo la storia stessa della televisione. Non c’è tema che la Gabanelli non abbia trattato, con il solito richiamo sui giornali l’indomani la messa in onda delle sue graffianti inchieste. Ciò che tutti vedono e apprezzano di lei è la smisurata passione per l’inchiesta. L’andare fino in fondo, in cerca della verità. L’abbiamo incontrata in una breve pausa all’uscita dallo studio di registrazione, scoprendo che sotto la sua “scorza dura” si nasconde una figura lontana dai clamori, ma dentro fino in fondo alla vita quotidiana (spesso incredibile) dei fatti e misfatti italiani.

Le viene riconosciuto un modo di fare giornalistico libero e radicale. Come fa a garantirsi questa autonomia?

Non me la garantisce nessuno! Uno libero lo è di suo o non lo è.

Giornalisti si nasce o si diventa?

Come in tutte le cose, si impara strada facendo. Curiosi si nasce, e un buon giornalista deve essere straordinariamente curioso.

In video ci appare precisa, austera e determinata, anche un po’ spigolosa, è così anche nella vita privata?

Spero di no. Il video rappresenta ciò che si vuole mostrare.

Cosa ama e cosa detesta di più?

Amo il coraggio e detesto la falsità.

Il sogno che ha nel cassetto…

È pieno di sogni.

Un sogno realizzato…

Essere ancora qui, con un marito che amo, una figlia in conflitto, un lavoro che mi appassiona, un tetto sopra la testa. Insomma, ce n’è per alzarsi tutte le mattine baciare per terra e ringraziare Dio.

Fa un mestiere che fa emergere spesso i lati oscuri e poco positivi dell’Italia. Non ha mai pensato di cambiar Paese?

Quasi tutti i giorni.

Lei è favorevole al federalismo leghista di cui tanto si parla?

In parte si e in parte no.

Il pericolo che avverte di più in questo momento

C’è un grande problema secondo me nel nostro Paese, che è più feroce del tiranno di turno che poi passa. E’ il vuoto che c’è nel nostro Codice di Procedura Civile: ovvero, la possibilità che chiunque possa farti una causa civile miliardaria, non esistono filtri, quindi tu vieni trascinato in tribunale e una causa civile può durare anche dieci anni.

La nuova stagione di Report  è appena partita (ottobre 2010) ci offre qualche anticipazione?

Le puntate saranno dedicate alle trivellazioni in mare, ai 25 miliardi di manovra (dove li troviamo?), alle authority, conflitti e competenze nel settore pubblico, Finmeccanica ecc. Noi abbiamo una grande fortuna che è quella di avere un direttore con cui c’è un rapporto di lealtà, fiducia, che è Paolo Ruffini. Penso che se avessimo un altro direttore forse le cose non sarebbero uguali perché il primo step è con il tuo direttore che poi se la vedrà con il direttore generale, il quale se la vede contemporaneamente con lui e con me. Non è un bel periodo e lo so che quelli molto attenti se ne erano accorti. Siccome io non ho vocazione al martirio cerco di portare in onda i pezzi, magari qualche volta andando pure sotto traccia senza agitarli troppo prima. A me interessa portarlo in onda.

Qual è stata l’inchiesta che le è rimasta più nel cuore?

Cremonini e l’esportazione di scatolette a Cuba.

Quella che ha fatto più scalpore?

Tante hanno fatto scalpore, dalla mafia a Parmalat, dalla moda alle provvidenze per l’editoria, dai derivati a Geronzi.

Mai censurato nulla nella sua trasmissione?

Di solito si scartano cose non sufficientemente supportate oppure erano divertenti perché facevi fare la figura del pirla a qualcuno però la storia non era finalizzata.

Quella invece, che l’ha messa più in difficoltà?

Quasi su ogni puntata arriva una causa e quasi  tutte ci mettono in difficoltà.

 

Ci sono poi le cause pendenti contro di lei…

Una quarantina circa, senza però mai avere una condanna definitiva! Se faccio il totale dovrei risarcire stante alle richieste 300 milioni di euro. Questo vuol dire che un editore che non ha le spalle larghe non può permettersi di fare questo mestiere.

Lei è apprezzata anche da chi la guarda dall’estero attraverso il satellite…

Mi lusinga, anche se mi affligge il fatto di dover mostrare anche a loro come sta andando questa nostra Italia. E come si dice, molto spesso la “verità fa male!”.

L’ultima domanda, la più difficile: l’Italia è stata fatta, ma bisogna ancora fare gli italiani?

Siamo come i minatori dentro ad una miniera: vita terribile vista da fuori, ma se ci vivi dentro ti abitui e alla fine ti sembra tutto normale e non immagini possa esistere una vita diversa, meno sporca, con l’aria più leggera.

LA RAGAZZA DALLE BRACCIA D’ORO

di Antonio Gregolin                                 – testo e foto riservati-

LA RAGAZZA DALLE BRACCIA D’ORO

Eleonora Menin, pluricampionessa italiana di nuoto per disabili.

Se non posso essere una ragazza coi piedi per terra, posso almeno dire di avere delle braccia d’oro…”. L’estemporanea battuta di Eleonora Menin, altro non è che la pura verità, sufficiente però a strappare un sorriso che infrange da subito quel muro di reciproca sorpresa di questi momenti. Due piccole gambe con dei piedi da bambina che appena sporgono dalla carrozzina, sono l’eredità di una sindrome infantile -detta della “sirenetta”-, che ha poco d’innocente e fantasioso, come invece richiamerebbe il suo nome. Tecnicamente, Eleonora è affetta fin dalla nascita dalla “sindrome da regressione caudale” che gli ha impedito di sviluppare spina dorsale e gambe, costringendola ad una immobilità che la ragazza di 26 anni, nata e cresciuta a Bastia di Rovolon nel padovano e oggi residente a Montegalda nel vicentino, combatte grazie ad una forza di volontà che si manifesta nelle sue forti e possenti braccia da atleta. Una sportiva con un medagliere da far invidia. Una speciale campionessa che ha dalla sua qualcosa che vale molto più di ogni altro riconoscimento:  modestia e umiltà che spiazzano soprattutto se si ha la fortuna di camminare liberamente. E pensare che questa la chiamano “diversità”! “Diversi” ci si sente semmai, proprio quando vedi questa piccola donna dagli occhi profondi e neri, destreggiarsi abilmente con la sua carrozzina mostrarti la sua bacheca piena di medaglie e più ancora quando racconta dei suoi due grandi amori: il compagno Dario e il nuoto. “Scusate, ma stavo pulendo la casa…” risponde Eleonora  presentandosi con la scopa in mano sull’uscio di casa. Scusarla? Macché, è subito la curiosità a prenderti l’immaginazione. Lei lo intuisce e ti mostra con altrettanta spontaneità come  si trasforma in  una “speciale” donna di casa. Autonomamente va poi ufficio al mattino con la propria macchina e prima di tornarsene a casa fa una cappatina in piscina dove si allena  in previsione delle sue future gare. Può bastare questo per renderla “speciale” anche per via della sua “diversità”! Se poi aggiungiamo anche i risultati sportivi che l’hanno portata nell’ultimo Campionato italiano sportivo per disabili, svoltosi nello scorso giugno (2008) a Napoli, con  due ori e un bronzo nella specialità di nuoto stile delfino e libero, viene  allora da pensare che Eleonora sia anche un “fenomeno” di donna.

“SEI ANNI FA SCOPRII LA MIA PASSIONE PER IL NUOTO”

E dire che la sua passione per il nuoto è arrivata solo sei anni fa, quando nel 1999 decise di “tuffarsi” in questa avventura sportiva, che l’ha vista coronarsi dell’oro che al suo collo pesa più di una montagna: “Non è stato affatto  facile nelle mie condizioni -spiega l’atleta vicentina-, considerando che per i disabili tutto quello che per gli altri (i cosiddetti normodotati) risulta facile, per noi in realtà diventa una costante impresa.” Questo  in fondo, è il  suo vero impareggiabile traguardo.

L’animo delicato di Eleonora si svela poco a poco, con parole e gesti che nulla hanno a che vedere con l’atteggiamento di certi campioni ovattati dalla vanagloria. Per questa  campionessa le sfide non terminano mai: “ Credo di avere persone speciali come i miei allenatori, Federica Fonasiero, Alberto Riosa ed Alessandra Aresu, tutti volontari dell’Associazione per disabili ASPEA di Padova, che mi seguono negli allenamenti settimanali nella piscina di Este (Pd). A loro devo il merito di avermi spinta a compiere l’impresa italiana. Ricordo ancora quel loro “Brava! Brava!” che mi dissero non appena vinsi il titolo iridato. Sentivo il loro orgoglio addosso come fosse un vestito e vedevo mia mamma che mi applaudiva dagli spalti. Guardavo il mio ragazzo e percepivo che il risultato non era solo mio , ma di tutti loro.” La memoria di Eleonora spazia nei ricordi fino al suo primo titolo nazionale che vinse un anno dopo aver iniziato a nuotare: “Allora era il 2000 ed erano pochi mesi che mi allenavo nello stile rana. Il tempo e la passione hanno fatto il resto…”. Un talento quello di Eleonora che ha dato e continua a dare risultati che stupiscono lei stessa: “Credo di dovere molto al mio carattere.

Ovvero, a quella tempra che non mi fa mai dire basta! Lo sport in fondo, serve per mettermi alla prova. Diciamo pure che è un’ottima palestra psicologica per i noi disabili.” Eccola illuminarsi non appena si lascia scappare il nome di “brillocco”: “E’ il mio innamorato con cui convivo da nove mesi. E’ colui che ho conosciuto via Internet. Per due anni abbiamo ciattato da amici, senza però mai andare sui particolari delle nostre caratteristiche fisiche. Poi l’incontro durante una mia gara in provincia di Como. Lo invitai a venirmi a guardare. Fu per lui una sorpresa trovarsi davanti una giovane ragazza in carrozzina che sapeva nuotare e gareggiare…”. In realtà, visti i risultati, si trattò di un colpo di fulmine. Dario 26 anni di Novara si è stabilito con Eleonora a Montegalda, e “brillocco” dopo quel primo incontro è diventato anche accompagnatore ufficiale della squadra patavina di nuoto.

IO, LUI, IL NUOTO E LA MIA NUOVA FAMIGLIA

Il sogno non troppo nascosto che si sta per concretizzare, – confessa Eleonora- sarebbe quello di formare presto una stabile famiglia.” Intanto, la nuova stagione sportiva si avvicina. A  settembre il suo ritorno in piscina e i primi allenamenti. Poi a gennaio le gare che la vedranno nuovamente in corsa per difendere il titolo italiano.

“E le “ParaOlimpiadi” di Pechino nel 2008?” gli chiediamo. “Ecco quello sì è un sogno che credo sarà destinato a rimanere per sempre nel mio cassetto. Ma è pur sempre un sogno!In fondo, basta quello che ho già conquistato, forse perché nelle mie condizioni sapersi accontentare è già una significativa vittoria. In fondo, – conclude la campionessa-, ho l’orgoglio di non dipendere da nessuno e nella mia condizione, posso vantare di vedere e sentire cose che molto spesso gli altri ignorano o danno per scontate. Capire il valore delle cose semplici è già un dono. Non vi pare?” Potrebbe allora bastare questo per capire che la storia di Eleonora, ha quel piglio di eccezionale “normalità” che rende vincente  una ragazza che ha già vinto “altro” nella vita.

PS.  Eleonora si è sposata con il suo amore di sempre, dopo essere stata campionessa di nuoto, oggi si è data al tennis… seguitando a vincere nella “gara” della vita!