di Antonio Gregolin -Riproduzione vietata di testi e foto-
GLI INFERI DI BUCAREST
L’esperienza di due giovani rumeni che condividono la medesima vita nelle fogne di Bucarest. Due storie in “bianco e nero” di rassegnazione e riscatto dal “fiume” sotto la città. (reportage 1998)
Rafael e George, sono due facce della stessa medaglia. Giovani di strada, che per strada hanno vissuto e seguitano a vivere la maggior parte della loro giovinezza. Storie in bianco e nero. Storie le loro, in bilico tra un sopra e sotto della realtà moderna della Bucarest post-comunista, tra i segni contrastanti del riscatto e la rassegnazione giovanile di chi è allo sbando. Hanno già un loro invisibile marchio d’infamia: sono “topi di fogna” come vengono chiamati coloro che trovano riparo nei tunnel. Si rifugiano lì, nelle condutture sotto le strade della capitale romena dai tempi della caduta della dittatura. I più sono arrivati dalle campagne con l’illusione di trovare in città una vita migliore. L’illusione, li ha invece trasformati in “vittime” dello scontro tra vecchio comunismo e giovane capitalismo. Rafael e George hanno la medesima storia in comune: quello che racconta uno, l’altro dice di averlo già vissuto. Entrambi hanno toccato il fondo in una società che mal li sopporta e non li aiuta. Rafael, 33 anni nato in un villaggio appena fuori della capitale, è però l’esempio di chi pur uscendo dal “fiume” come qui viene chiamata la fogna, coltiva il suo riscatto personale. La fogna lui l’ha abbandonata nel 1992 e da allora nutre una speranza che sembra essere una dannata liberazione: “Là sotto -spiega il ragazzo- non voglio tornarci mai più!”.
George ha dieci anni meno dell’amico Rafael, e da 13 è un “coprii stràzii”, uno di quelli che vivono sottoterra. Vi è entrato quando non aveva ancora otto anni, e oggi ha una figlia di appena un anno avuta da una giovane ragazza. Il nostro incontro avviene all’imbrunire, l’ora che fatalmente precede le tenebre, quando cioè qui c’è chi esce e chi entra nel “fiume”. E’ l’ora delle ombre. Rafael conserva gli occhi vispi, mentre George è già sotto l’evidente effetto dei vapori della vernice grigia, comprata per appena due euro, i cui vapori inalati gli devastano la mente. Uno guarda l’altro, ma le distanze mentali tra i due giovani traspare proprio dai loro stessi occhi. Per George la “speranza” è nascosta sotto il suo maglione, in un sacchetto di plastica trasparente che si gonfia e sgonfia come un palloncino. Ma non è un gioco. Ogni volta che lo estrae è per inspirare i vapori della vernice diluita con trielina: “Roba da elefanti…” mi spiega Rafael. Un gesto istintivo che per George ha il sapore del rito della dannazione . Tanti ancora sono questi giovani “dannati”: i più giovani non arrivano neppure ai sette anni e c’è chi inala colla già con il latte materno. I più si muovono in bande, altri solitari li trovi agli incroci delle strade, anche se “oggi questa non è più un’incontrollata piaga sociale com’era fino a pochi anni fa”. “Molti di questi ragazzi sono stati raccolti e portati nelle strutture per il recupero e reinserimento sociale”, afferma Alina Bontu, che qui da alcuni anni segue come assistente sociale questi ragazzi per conto dell’Amministrazione di Bucarest e dell’Associazione Parada del clown algerino-francese Miloud Oukili.
“Stimiamo che la popolazione che risiede ancora nelle fogne, soprattutto nel periodo invernale, – precisa Alina-, non superi i 600 ragazzi. Ma il loro numero è in costante diminuzione”. George intanto fa strada, deve portarmi in un giardino pubblico: “Andiamo dove l’altra notte abbiamo tolto i sigilli e aperto un tombino” mi spiega. “Tutti gli accessi al “fiume” –aggiunge Rafael- sono ormai stati chiusi dalla polizia locale”. “Ormai fa caldo (giugno Ndr) e scendiamo raramente – aggiunge George -, andiamo solo d’inverno per trovare il calore delle condotte fognarie o per sniffare in santa pace, lontani dalla polizia”.
Il tombino ha una scaletta in ferro che scende perdendosi nel buio come nell’apparente vuoto. Per dieci metri hai appena lo spazio per muovere le gambe e man mano che si scende giù, senti il calore salirti dalle gambe per poi avvolgerti in maniera asfissiante. George mi precede, “giusto per tranquillizzare eventuali altri inquilini” che potrebbero essere infastiditi dall’intrusione. “Qui sotto è meglio non scherzare…” sottolinea Rafael. Il calore delle grosse condutture ha l’effetto di bruciare l’ossigeno e la pragmatica impressione è quella di essere giunti in un girone infernale. Pochi istanti e si dentro un altro mondo, in un’altra dimensione: “In certe giornate, qui sotto la temperatura sfiora i quaranta gradi, tanto caldo al punto tale che alcuni ragazzi sono stati trovati morti asfissiati”. Impossibile non credergli! L’angolo personale di George è un materasso appoggiato alla parete di cemento a pochi metri dalla conduttura dell’acqua calda.Tutt’intorno la penombra lascia intravvedere ben poco, sufficiente però per capire che sto camminando su un letto di rifiuti. “Benvenuto in una delle mie case!” mi dice George prima di sdraiarsi e finire ciò che aveva iniziato in superficie. Gli ultimi tiri di vernice lo faranno sballare di lì a breve. Pochi minuti e George viaggia già su un’altra dimensione: “So bene cosa si prova in questi momenti – afferma Rafael-, la colla ti fa dimenticare tutto. Cancella tutto e ti prende l’anima. Non senti neppure più l’intenso calore o il freddo che c’è fuori. Svanisce la seta e la fame: svanisci tu, entrando in un’altra dimensione lasciando che la colla devasti il cervello”.
Lo stesso corpo sdraiato di George sembra già scollegato dalla mente. E’ privo di forze. Farfuglia poche e incomprensibili parole: “Tranquillo è tutto normale in queste condizioni -mi rassicura Rafael-, per me era la stessa cosa per due tre volte al giorno”. “Non è l’unico a vivere così qui sotto, conosco intere famiglie di Rom come me che vivono da più di dieci anni in queste condizioni. Non è poi raro che vi nascano anche dei bambini. Diciamo che è tutto “normale” o quasi, se non hai né cibo, né lavoro! Nella fogna ti buttano. Non sei tu che scegli di andare…”.
Passa ancora una manciata di minuti e il fetore si fa insopportabile per effetto del caldo che sfiora i 40 gradi: “Impari a conviverci -aggiunge Rafael- il problema è quando dopo esserti fatto di troppo di colla, smetti di sentire ciò che ti sta attorno! E’ allora che il calore ti tradisce e poi, anche se qui muori, nessuno se ne accorgerebbe. Nessuno ti verrebbe a cercare… è già successo molte volte! Lo sai stando sotto la fine che ti può aspettare, ma proprio perché sei conscio di questo non puoi farci niente! Quelli che sono vivi sopra, pure loro sanno che sotto di loro c’è il regno dei morti che qui camminano…”. La temperatura rallenta anche i nostri discorsi e George sembra in difficoltà. Così decidiamo di aiutarlo d uscire, trascinandolo verso la botola da cui siamo entratati: “Sotto siamo un pò tutti fratelli, anche se poi rischiamo di ucciderci anche e solo per un pacchetto di sigarette…” aggiunge Rafael. Decidiamo allora di uscire: “Cerca solo di essere veloce – mi dice lui- la polizia se ci becca ci arresta tutti. Non vogliono che si mostri questa realtà all’Europa”. George esce con noi trascinandosi però come un vecchio.
Cerca di sedersi sotto la pensilina di una fermata del tram, chiedendomi del latte da bere: “E’ il metodo più semplice ed economico per smaltire le sostanze tossiche inalate”. Gli allungo un panino oltre al latte richiesto, ma alla fame, lui preferisce dopo poco la sniffata dal suo solito sacchetto. Ora semmai, il problema suo è come racimolare qualche soldo per comprarsi domani la solita vernice. Gli chiedo allora se non pensa a sua figlia? Al fatto che lui è papà e che per questo dovrebbe smettere”. La sua risposta arriva ancora una volta prima dai suoi occhi: “No, mai!” aggiungerà poco dopo. Rafael lo ascolta e abbozza un sorriso come se questa sua risposta fosse scontata: “E’ difficile uscire da questo inferno se contro il tuo cervello bruciato, non trovi qualcuno più forte di te disposto ad aiutare uno che per il resto del mondo non vale nulla!”. Non tutti sono come Rafael o hanno avuto la sua stessa fortuna. Ritornare là sotto, anche per lui comunque è stato per lui una nuova discesa agli inferi: “ Io sono stato tra i primi a finire qua sotto. Quando nel 1988 arrivai in città -racconta Rafael- costituimmo la prima banda di venti ragazzi, tutti senza fissa dimora. Vivevamo vicino alla stazione centrale, ma poi con il crescente numero di ragazzi ci siamo spostati verso la periferia. Allora eravamo una grande famiglia e sniffare vernice ci serviva per attenuare i crampi della fame. Così ho tirato per oltre dodici anni fino al 1992, quando l’incontro con Miloud Oukili, mi ha cambiato la vita. Lui aveva cominciato a scendere sotto da alcuni mesi e sapevo che molti ragazzi lo stavano seguendo…”
“Avevo sentito parlare di una scuola di clown e artisti di strada, come del circo di Stato di Bucarest. Quando mi chiese se volevo andare con lui -dice Rafael- ricordo che non gli diedi neppure ascolto. Questa era la mia vita e lui un intruso che rischiava di fare una brutta fine. Allora mi sentivo potente! Il giorno seguente, Miloud tornò e mi convinse parlandomi di clown e divertimento, come farebbe un ammaestratore con il suo cagnolino!”. Rafal non poteva però immaginare che quella sarebbe stata la sua ultima uscita dalla fogna: non vi sarebbe più ritornato se non per ripescare altri giovani come lui, spiegandogli e mostrandogli che una via di uscita da questo mondo c’è. In pochi mesi il ragazzo apprese l’arte circense, ma soprattutto aveva rafforzato la convinzione che la sua vita poteva davvero cambiare. “Oggi dopo molti anni, la paura mi rimane” sottolinea Rafael. “Anche se ormai mi considero un ragazzo quasi normale – dice-, il terrore di dover ritornare là sotto mi spaventa ancora. E’ un incubo che torna spesso anche nei miei sogni! Certo, la strada t’insegna cose buone e cattive, ma quei ricordi sono e saranno la mia stanza oscura, che mi porterò per tutta la vita”. Sono le ombre del suo passato che riaffiorano ancora nel presente. E’ la paura di ricadere a terrorizzarlo, perché quel suo passato è un peso con cui fatica a convivere, e molto dipenderà dalla situazione economica del suo Paese.
Oggi Rafael ha un piccolo impiego notturno (due euro a notte) presso una fioreria ambulante in pieno centro, vicino alla stazione: ”Vivo da solo – dice il ragazzo -, ma temo che il peggio per me non sia ancora passato, purtroppo. Il peggio se vogliamo, è tutto quello che sta attorno a me. Quando mi guardo allo specchio, mi spavento ancora di me stesso. Ma so che devo continuare e continuerò…”.
“Questa è la mia gente, la mia terra -afferma Rafael-, non me ne andrei per nessuna ragione”. Dopo aver lavorato per alcuni anni nel circo di Miloud, Rafael ha fondato una sua Associazione “La Casa dei Rom” per valorizzare attraverso l’arte e la tradizione la cultura del suo popolo. Arte come terapia e riscatto culturale dunque, come gli ha insegnato quel suo maestro “dal naso rosso” che l’ha sottratto dall’inferno, con la forza di un sorriso.
ALBUM DELLA MEMORIA