LA SIGNORA IN “ROSA”

di Antonio Gregolin  Copyright 2018  -riproduzione vietata testo e foto-

LA SIGNORA IN “ROSA”

Da una passione è nata una delle collezioni di rose più pregiate e ricercate d’Europa.

E’ un sogno che da trent’anni si fa ammirare, toccare e odorare, diventando un mestiere d’eccellenza per una piccola e tenace donna che ha fatto del suo giardino di rose antiche, un riferimento internazionale, dove ogni primavera è un tripudio di bellezza e profumo. Un giardino che ha poco segreto, senza una vera e propria recinzione perché qui sono le rose a recintare il roseto. Tutt’intorno campi coltivati tra gli Euganei e i Berici, sul confine di due comuni, Montegaldella e Cervarese S.Croce e le province di Vicenza e Padova. «Qui e solo qui, dinnanzi alla mia vetusta casa di famiglia in aperta campagna dove Anna Sgarabotto di 55 anni di Cervarese S.Croce (Pd), è cresciuta a pane e agricoltura-, volevo sorgesse il mio sogno». Così da trent’anni quello che per convenzione è definito un vivaio, per la sua fondatrice resta il “giardino del cuore”, dove tutto ha il sapore dell’antico, naturale e arcano. Il nome “La Campanella” ai profani di rose antiche fa immaginare poco, mentre il nome primeggia tra i più blasonati cataloghi specializzati d’Italia e d’Europa.

RARITA’ Per gli stessi cultori di rarità botaniche, se in Italia dovesse esserci una “regina delle rose”, la corona andrebbe alla passionaria Anna, ricercatrice, cultrice e produttrice tra le più stimate d’Europa, scalzando eccellenti nomi inglesi, svedesi e francesi. Una donna che ha concesso poco al commercio: «Da me non troverete mai una rosa come il mercato vuole». Le rose qui sono semplicemente rose, al limite dell’archeologia botanica, tanto che le “antichità” esposte sono tutte vive e vegete, pur somigliando ad autentici reperti museali. «Ma se doveste essere paragonata a una rosa – incalza li-, non dite che sono una dal gambo lungo e fiore imbalsamato. Ho un carattere da rosa selvatica, da “Censiana damascena” la mia preferita: spinosa, cespugliosa, dal fiore semplice ma profumato». Eccola la carta d’identità floreale che Anna sfodera evitando tanti giri di parole, che abbondano solo quando ci si tuffa dentro questo mare di colori e soavi profumi. Così si scivola piacevolmente dentro la più importante collezioni di rose botaniche d’Italia: un luogo da intenditori, lontanissimo dallo stereotipo del garden moderno, sempre più simile al supermarket.

UN PARADISO SPINOSO E’ qui che Anna accoglie i cliente di ogni dove: esperti, collezionisti, botanici e fotografi internazionali come Angelo, un fotoreporter milanese che lavora per le più prestigiose riviste botaniche d’Europa, che troviamo intento a immortalare le nuove fioriture per un futuro libro a tema. Stefano invece è un collezionista di Riva del Garda che si fregia di coltivare nel suo giardino oltre 450 varietà di rose, giunto qui come ogni anno per arricchire la sua passione: “Siamo nel paradiso di chi ama le rose –afferma il cliente-, e Anna è un nome di qualità e serietà». Sir Chales e lady Odette sono invece inglesi, e li troviamo in autentica contemplazione di boccioli e fiori, al punto da far pensare che qui la storia profuma e si colora a seconda delle diverse varietà che vi fioriscono: “sancte”, “muscate”, “galliche”, “damascene”, ecc.  Ognuna con portamento, un carattere e storia che si perde dentro i millenni. Delle 220 rose selvatiche del mondo, 20 quelle italiane, considerate le madri di tutte le rose giunte fino ai nostri giorni, Anna ne coltiva una settantina, che fanno da cornice alle oltre 1600 varietà di cui è composta l’intera collezione. Alcune talmente rare da essere strappate all’estinzione: «Se molte rose antiche sono state perse –afferma Anna-, la colpa è della moda! Di quella che dal 1792 con l’arrivo delle prime rose cinesi rifiorenti e molti petali in Europa, ne ha stravolto il gusto estetico ed ecologico.

FIORITO DA UNA TRAGEDIA  Oggi che tutto si è fatto patinato e stereotipato, con le rose a stelo lungo prodotte in Perù, Kenya o Sudafrica, stiamo perdendo la biodiversità di questo meraviglioso fiore e della sua arcaica memoria». Ma quale sia la sorgente di tanta passione, lo si scopre in  Anna quando lei racconta con velo di timidezza e tristezza come sia arrivata alle rose: «Persi prematuramente un mio fratello. Quell’episodio fu per me un trauma così forte da rifugiarmi sul lavoro. Allora mi occupavo dell’attività agricola di famiglia con in tasca un diploma da perito agrario. Decisi così di cambiar vita, partecipando a un concorso statale per l’abilitazione all’insegnamento, presso l’Istituto agrario Duca degli Abruzzi di Padova. Entrai di ruolo come assistente di laboratorio». Ma l’esperienza non sarebbe durata a lungo: «Cresceva in me il desiderio di tornare a fare qualcosa di diverso, ma nella mia terra e casa. A ispirami, fu un vecchio giardiniere che pian piano negli anni mi ha infuso l’amore e i segreti per coltivare le rose. Da quel momento e fino ad oggi, il maestro che mi segue ancora, trent’anni dopo, studio, ricerca e passione, mi portano a ripetere come il mio sogno, io lo coltivo sotto i miei occhi».

“MUSICA'” PER IL GIARDINO Il futuro poi, sembra avere gli occhi a mandorla di una nipote di nove anni, italo-filippina, il cui nome “Musicà” sembra essere il preludio al destino di questo magico luogo. La piccola si fa strada con la sua bicicletta passando sotto i grandi archi punteggiati di fiori, e con l’innata grazia orientale confessa: “Sì, da grande mi piacerebbe fare il lavoro di nonna”. La nonna abbozza un sorriso, scrolla le spalle, pensando forse che la storia futura di molte rose europee, s’innesta qui con l’innocenza di una bambina venuta da Oriente.  

LA BEFANA CHE VIEN…DAL LIBRO

di Antonio Gregolin  Copyright 2016  -riproduzione vietata-

LA BEFANA CHE VIEN…DAL LIBRO

Il piacere di una scoperta tra le bancarelle, che fa volare la fantasia…

Chi non vorrebbe vedere, grande o piccino che sia, una foto della vecchia Befana che vien di notte, magari sacrificando quel tanto o poco di fantasia che l’ha fatta filtrare attraverso i secoli o millenni? auguri-befana-640x342 Immaginiamo che in molti farebbero carte false per ravvisare la verità che avvolge da sempre questa mitica figura  destinata ad apparire  e scomparire con il Natale. La fatalità una volta tanto ci può essere d’aiuto. Così può capitare che ravanando tra le disordinate bancarelle degli antiquari di piazza, possa venire tra le mani  un libercolo del 1600 di letteratura latina, austero nella forma, con un dettaglio per niente trascurabile nel “risguardo” (cioè la pagina bianca dopo la copertina), più significativo del testo stesso delle pagine che seguivano. Era uno schizzo “grottesco”, espressione di un anonimo che l’ha disegnato qualche secolo fa con un pennino, ritraendo l’immago della “vecia stria che pasa dal camin ” come dicono qui in Veneto. 

Il libro del '600 con il disegno della Befana

Una rarità libraria e antropologica, se si considera che la befana è ben descritta nella tradizione orale, mentre è scarsamente rappresentata in pitture o disegni. Un vezzo forse. Oppure, uno scherzo o dileggio di chi come passatempo s’è lasciato andare all’istintivo disegno, ritraendo tutto ciò che fa da corredo iconografico alla maliarda befana: la sottana lunga, con le scarpe tutte rotte, e l’immancabile in testa. Una befana, perfetta! E chi l’ha ritratta, gli ha pure dato quel caratteristico movimento aereo, che resta magico per sua natura. Il venditore incuriosito ebbe solo da dirmi:

“Non è raro che i libri antichi riportino schizzi di vario tipo. Ma una Befana così non l’avevo proprio mai vista prima!”. Fedele ritratto di quel “brutto ma buono” che l’antica figura incarna ancora, retaggio di quello spirito agreste che la voleva ripulire il vecchio tempo per rigenerare nuova stagione. In fondo, come dicevano i vecchi contadini veneti di un tempo: “L’Epifania zè un passo de stria” o “Daea veceta un’oreta” per dire che la da luce, da oggi inizia così la sua lenta rinascita. Alla fine, resta il piacere della scoperta. E’ quello che di tanto in tanto, riserva ancora il girovagare per mercatini di cose antiche. Oggetti che parlano a loro modo a gente moderna come noi. Passato che s’incontra col presente, con il sapore della patina del tempo in molti casi cospicuamente pagata. In altri, un affare inaspettato. 

OLYMPUS DIGITAL CAMERALa cosa certa è che non sapremo mai chi l’ha disegnata. Se l’ha fatto con intendimento o puro divertimento. Compro quindi il libro, non per il libro, ma per ciò che vi è disegnato dentro. Mistero e inutilità, fanno parte dello stesso intesse che spinge chi si sente attratto dalle cianfrusaglie d’ogni sorta come me. Una compulsione difficile da spiegare e giustificare. Come in un istinto primordiale alla ricerca del tempo, spesso le sorprese come queste non mancano. Ricerca e curiosità sono figlie dello stesso sentimento che può passare ignaro tra le nostre mani, tra i banchi di un mercatino qualsiasi, alla mercé di chi per primo posa il suo sguardo e poi fa l’affare.

Il libro si trova ora nella mia scrivania, sapendo di averlo comprato più per nostalgia, che per reale utilità. Ciò che in fondo trasuda, è ben più delle sua parole. E’ l’arcaico fascino della megera che anima la fantasia di bambini come quella di molti nostalgici adulti, che risorgere, puntuale, tra le pagine di un antico volume dimenticato. In fondo, anche questo fa parte della tradizione delle migliori storie da focolare. Da sempre, e forse per sempre!

 

“CI RUBANO LA TERRA”

 

Di Antonio Gregolin  copyright@2016 di testi e foto

 

CI RUBANO LA TERRA? TORNIAMO ALLA TERRA

Lo scrittore vicentino, Paolo Groppo, funzionario delle Nazioni Unite prestato alla narrazione, racconta cos’è il land grabbing nel suo nuovo libro dedicato all’Africa “Libambos”.

paolo_libambos“Land grabbing” letteralmente sottrazione di terreno, è ormai un concetto entrato nel linguaggio corrente. Realtà antica, quanto prolifica ai nostri tempi. Sottrarre la terra al nemico, occuparla e sfruttarla, è pratica ancestrale e guerriera. Oggi, sviluppo e interessi economici-finanziari si rivestono da “agnelli”, quando invece le finalità è da “lupi”. L’accaparramento delle terre è legata agli interessi di pochi ricchi stati, che monopolizzati da influenti politici e uomini d’affari, seminano un’inquietante ombra sul futuro di molte delle nazioni in via di sviluppo. Grandi estensioni terriere, in macroaree geografiche: Africa e Sudamerica. E’ qui che il fenomeno prolifica da una decina di anni con una serie di tentacolari dinamiche geo-politiche. Materiale per appassionati di complotti. Humus per scrittori noir e gialli. Ma soprattutto terreno fertile per “uomini ombra”. Il vaso di Pandora, è quindi il mondo globalizzato, con l’etica sempre più al margine e lo sfruttamento delle terre fertili, ricchezza e flagello per le popolazioni autoctone. Il cinquantaseienne di Vicenza, Paolo Groppo, da un trentennio è funzionario delle Nazioni Unite, con una significativa esperienza nei paesi in via di sviluppo, è uno che i problemi globali li vive e ricerca possibili soluzioni: “Quando però non ci riesco, metto mano alla penna e mi trasformo in uno scrittore, tingendo di giallo la realtà che spesso supera la stessa fantasia”. Ma è pure un membro attivo delle associazioni che chiedono sostenibilità sociale, economica ed ecologica per il futuro del pianeta. Un “borderline” tra sviluppo ed etica, che l’ha visto trasformarsi negli ultimi cinque anni in uno scrittore socialmente impegnato, con all’attivo già tre romanzi gialli: “Esperanza” del 2012 dedicato al confronto-raffronto tra il nazismo e i desaparecidos argentini; fa seguito, nel 2014, “Marne Rosse” con il quale Groppo torna nella sua terra veneta, storia di un cementificio che si fagocita un vigneto di Amarone sui Lessini veronesi e, pochi mesi fa, realizza un salto continentale fino all’Africa con il suo ultimo sforzo narrativo: “Libambos”, appena pubblicato dalla casa editrice Elmi’s Word, che va ben oltre la patina del giallo narrativo.

Scrittore, ma principalmente esperto di cooperazione internazionale. Come concilia la sua anima di scrittore con quella di tecnico globale? “La ragione di fondo è la convinzione che le uniche risposte ai problemi creati dagli uomini su altri uomini, incluso l’impatto ambientale globale, si possono risolvere solo col lavoro di squadra. Dunque, nella cooperazione e quindi, concedetemi il peccato di vanità, nell’operato delle diverse istituzioni nazionali e globali, tra queste le Nazioni Unite”.

Il suo non è un saggio tecnico. Bensì, un giallo che ha come fine la metaforadarfur-unosulla nostra civiltà contemporanea. “Sì, scrivo gialli –spiega Groppo- raccontando vicende che solo in apparenza sono frutto di fantasia. Tra le righe, semino tutta la realtà che conosco e osservo nelle varie aree del mondo, con uno stile “leggero” che riesca a “catturare” il lettore e lo trascini verso l’obiettivo finale: la formazione e l’informazione alle coscienze di buona volontà”.

“Libambos” è il titolo del libro . Che significa?  “In Angola, con il termine “libambos” s’indicava le catene che gli schiavi portavano ai piedi, sulle navi che salpavano verso l’America. La ragione del titolo, rimanda a un sentimento di schiavitù, che viene da un ragionamento che l’ispettore di polizia James Culone –uno dei protagonisti del giallo- fa parlando con un gruppo di persone della comunità dove è successa la violenza e l’omicidio di Pureza Mwito. In questo contesto, il land grabbing, è una moderna forma di colonizzazione”.

Il tema del libro è la sottrazione dei ricchi ai poveri, lei come vive tutto questo? “Il “grabbing” delle risorse naturali non riguarda solo la terra, ma anche l’acqua, le foreste, le risorse genetiche e oramai anche la sabbia e l’aria. Questione antica, coloniale, che è tornata ad avere visibilità solo di recente grazie alla Rete che ha fatto aumentare l’interesse della comunità internazionale e della gente comune verso il fenomeno. L’obiettivo, la sfida è quello d’intervenire nelle forti asimmetrie di potere, per lanciare processi di dialogo e negoziazione che siano abbastanza solidi da arrivare a cambiamenti di politiche e leggi, promuovendo una centralità molto più forte degli attori locali. Lavorare per le Nazioni Unite come nel mio caso, permette che le parole appena dette abbiano un peso diverso, e i governi sentano di essere sotto una lente di controllo, favorendo così qualche piccolo spiraglio su un possibile dialogo.

Ciò significa, intervenire anche sui possibili flussi migratori che ci toccano da vicino? “Ciò che vediamo spesso solo le conseguenze, mai le cause dei problemi. Il principio resta quello del battito d’ala in una regione remota del pianeta, che diventa poi ciclone dall’altra parte della terra. Così sono i flussi migratori. A questo aggiungiamoci l’instabilità -spesso pilotata dei governi africani-, con l’accaparramento delle risorse naturali: petrolio, diamanti, uranio, coltan, alluminio, ecc. ed ecco che il quadro si fa completo. In “Libambos” infatti, racconto una vicenda che non è poi tanto astrusa. Molti imprenditori raggiungono l’Africa per acquistare a prezzi stracciati le terre con la scusa di produrre, mettendo al tappeto le economie agricole locali. Il nostro è un meccanismo economico che distrugge lavoro, per cui chi esce dal settore agricolo, che permette a tutti i membri della comunità di lavorare, non trova alternative e quindi non ha altra scelta che migrare. Se vogliamo quindi arginare il fenomeno, dobbiamo ricominciare a rafforzare le economie contadine indigene, avvallandoli nei loro diritti: che è quello che nel libro viene chiamato a fare l’ispettore di polizia…”.

L’etica concentrata nell’enciclica di papa Francesco “Laudato si” che lei definisce come “il più rivoluzionario documento mondiale               degli argentina1ultimi dieci anni“Assolutamente. L’approccio che cerchiamo di portare avanti con i nostri progetti di cooperazione internazionale, parte proprio da una riflessione sul comportamento pratico dell’essere umano, e da tre concetti semplici e sequenziali: Dialogo, che richiede accettazione dell’altro, di chi è diverso da noi. Negoziazione, contrapposto ad una generica “partecipazione”, troppo spesso strumentalizzata. Concertazione, per ricordare come il prodotto finale del processo precedente debba essere legittimato agli occhi degli attori interessati. Il nostro è un approccio basato sui diritti (Rights Based Approach) ma che aggiunge, complementandolo, una dimensione etica che mira alla legittimità sociale e legale. Combinare tutto ciò con l’economia reale è possibile. La nostra sfida però va ancora al di là e include anche la dimensione ambientale, con la ricerca di accordi (patti territoriali socio-ecologici) che vanno nella direzione indicata dall’enciclica”Laudato si”.

L’Italia concorre alle cause ed effetti da lei raccontati? L’Italia é un attore minore, anche se importante. I grandi gruppi mirano alle stesse politiche per garantirsi l’accesso privilegiato alle risorse del Sud del mondo, a suon di mazzette. Noi dovremmo quindi prendere più coscienza, anche per questioni geografiche, visto che siamo così vicini all’Africa. E’ d’interesse nazionale favorire dinamiche locali nei paesi africani diverse da quelle cui assistiamo, altrimenti finiremo col pagarne un prezzo più elevato”.

L’ONU viene però additata quale strumento in mano ai grandi imperi mondiali, dai costi smisurati. Pochi anni fa venne realizzato, su richiesta dei paesi membri, un audit della FAO, del suo mandato, capacità e risorse. La conclusione fu molto chiara: se questa venisse chiusa, un’altra FAO dovrebbe risorgere il giorno dopo. In discussione non è tanto il suo mandato, che obiettivamente è molto ma molto grande e forse fuori dalla sua portata, quanto le risorse e soprattutto quel minimo di volontà politica da parte dei paesi membri di trasformare in azioni proprie i suggerimenti che possono venire dalle agenzie ONU. Non é nemmeno un problema di avere molti più soldi, ovvio che quelli aiutano, ma soprattutto il poter essere più incisivi a livello di politiche, legislazioni, sempre nel rispetto ovvio che si deve ai vari paesi membri”.

1901909_671736479600250_3819659328449277431_nPer concludere, il libro snocciola una storia noir dai risvolti drammatici per la vita di milioni di persone nel mondo. Qual è il  futuro che prospetta per il    pianeta? Continuo ad essere diviso tra il vedere l’approssimarsi di una terza guerra mondiale (per citare il Papa), per l’incapacità di parlarci, ascoltarci e accettarci. Con la protezione dell’unica Terra insufficiente a contrastare gli appetiti economici e finanziari globali. Poi perché le capacità di “governare” questi fenomeni sfuggono sempre più a una classe politica che non brilla per iniziative, finendo con l’ impaludarsi in meccanismi economico-finanziari sempre più opachi. L’altra mia metà invece, resta ottimista e possibilista, intravvedendo le molte nuove capacità che pullulano dalla base sociale. Per questo scrivo romanzi: per andare in giro a spiegare ad un pubblico più vasto cosa sono questi grandi fenomeni globali, ma anche individuali, giungendo alla conclusione del protagonista del libro: ricominciare dal basso e riiniziare finalmente ad essere vera comunità umana”.